Da un po’ di tempo mi ritrovo per casa, per ragioni che non sto a dirvi, tale Riccardo, amico siciliano poco più che ventenne, molto sui generis. Per me come per lui la relazione è un incontro ravvicinato del quinto tipo da universi abissalmente lontani ma paralleli e contestuali, cosicchè – a prescindere dall’affetto che ci lega- l’esperimento antropologico che si realizza nelle nostre amabili conversazioni è interessante per entrambi, direi quasi educativo.
Sere fa, da un’inutilissima dissertazione sulle immagini che evocano le lettere dell’alfabeto, non ricordo come mi sia scappato un riferimento al G8 di Genova, dando per scontato che fosse argomento condivisibile perché “da giovani”.
Ma lui ha interposto uno sguardo interrogativo che mi ha subito proiettato nella riconsiderazione del concetto di Tempo, altrettanto relativo quanto la Realtà che farebbe pensare che io e lui, distanti soli 30 anni, condividiamo un presente che si possa oggettivamente valutare come il medesimo. Nel 2001 Riccardo era immerso nel suo universo di ciucciotti e colichette mentre nel mio di universo si consumava la tragedia di Carlo Giuliani, il ragazzaccio genovese che, come è rimbalzato di bocca in bocca in questi fulminei ultimi vent’anni, col passamontagna e un estintore in mano la morte per mano dello Stato se l’è cercata.
Mi è toccato seduta stante un riassunto delle puntate precedenti, che il mio giovane amico, appurato che la vicenda riguardava un coetaneo rimasto freezato nel Tempo alla sua età, era assetato di conoscere come si fosse arrivati a questo. Mi sono sentito proiettato nella canzone Chiedi chi erano i Beatles, per chi ricorda gli Stadio, spostando indietro le lancette fino al mio anno di nascita che, a ben pensarci, distava solo vent’anni dalla fine della Seconda Grande Guerra.
La quale, temporalmente parlando, stava quindi a me come il G8 di Genova al mio amico Riccardo.
I miei mi raccontavano la guerra come una fiction su Netflix, distante dal mio immaginario di bambino quanto Mameli, Metello e Salvo D’Acquisto, eppure così fresco nella loro memoria di ragazzini appena cresciuti. Dovetti crescere per capire come quel 1945 fosse stato uno spartiacque nella storia del Paese, a distinguere un prima e un dopo e di come fosse assolutamente scontato nella paura che quei racconti mi suscitavano che a quel prima, agli anni desolati e affamati che precedettero quel ‘45, non si dovesse più tornare.
Mai più la guerra, mai più la dittatura, mai più già solo quel clima di pensiero unico, che, quant’anche ci avesse dotati di strade, treni, scuole e vacanze al mare, non si sarebbe dovuto accettare mai più.
Oddio, ho chiesto a Riccardo, come te lo spiego ora che quel 2001, anno delle Torri e del G8 genovese, è stato lo spartiacque fra il 900 e il nuovo secolo?
Ho dovuto cominciare dai postulati, raccontargli cosa fosse una manifestazione di dissenso vera, come cioè gruppi organizzati di giovani e non che volessero difendere un loro punto di vista in contrasto con il pensiero dominante e maggioritario, si incontrarono in massa in un luogo prefissato per espugnare la linea rossa, quel recinto di tranquillità dentro cui il Potere Globale si era asserragliato per decidere le sorti dell’Umanità. Ho dovuto perché Riccardo, nato a cavallo di quel 2001, una manifestazione vera non l’ha mai vista. Quel G8, mi sono reso conto mentre glielo raccontavo, è stata la scure calata dal Potere ai fermenti no global di quegli anni, che lasciavano presagire impedimenti al fluido affermarsi del Neo Liberismo Unico, lo stesso che oggi si attribuisce tutto e solo al misero pd nostrano, pietosa pulce con la tosse nell’universo del potere spammato che ci ammorba e fiacca.
Che schedare i manifestanti appena scesi dai pullman, come è successo pochi giorni fa, è notiziella di quarta fila, normale, anzi opportuno, anzi necessario, per prevenire che quei quattro scapestrati comunisti degenerino.
Dopo quella data, ho pensato ripercorrendo gli anni a seguire, il nascente pensiero dissenziente si è autorepresso e disperso in migliaia di rivoli di smartphone dove registrare storie che durano 12 ore. Manco i pesci rossi negli acquari.
L’espressione del dissenso, perfino dei terremotati a L’Aquila (chi li ricorda più gli striscioni bruciati al passaggio dell’auto blu presidenziale ?) è diventata velleità di scapestrati e loro, gli scapestrati, silenziati dal terrore del manganello, dall’immagine del sangue di quella notte nella scuola Diaz, dove giovani e non, studenti, precari, giornalisti e malcapitati furono svegliati dai celerini schierati in assetto antisommossa e sbattuti con la faccia contro i termosifoni in ghisa dell’asilo di fortuna, trasformato in lager.
E’ così strategicamente e subdolamente passato il principio, fra notizie vere e false artatamente distribuite sui media, fra sentenze appese, responsabili indenni o verità appurate ma scansate in quarta pagina accanto a Corona uscito dal carcere, che il dissenso deve esprimersi come una schitarrata in spiaggia, arcobaleni, techno e tanto pride. Che la protesta va bene quando è colorata, che è normale anzi opportuno #stareconlapolizia comunque, anche quando le si impedisce di lavorare torturando un accusato.
La rivoluzione contro la Casta si è spostata nelle piazze virtuali, votando mi piace e condividi al Potere (o meglio alla sua più scialba rappresentazione) in streaming (già, che fine ha fatto lo streaming?), seduti in mutande davanti al monitor.
Ma una Rivoluzione senza Pensieri, da che mondo è mondo, il Pride sopportato malamente anche dai più fondamentalisti, è solo l’allevamento al transito verso un nuovo regime dai contorni indefinibili, svuotata di senso dalla cancellazione della memoria dei fatti concatenati l’uno all’altro nel rapporto causa-effetto che ci ha condotti dall’universo dei miei genitori, al mio, e dal mio a Riccardo, ventenne del III Millennio.
Come il sacrificio di Aldo Moro segnò la fine della protesta sessantottina per l’apparecchiamento del nuovo universo nuovamente spassoso di grease e yuppie che permetteva al Potere di spassarsela con stragi di stato e consociativismi multi partisan, come la piazza siciliana scesa nel ‘92 a gridare il dolore di Falcone e Borsellino, oggi icone comode al ripescaggio da ogni parte politica, si accontenta dell’arresto di trenta pusher sudafricani e di una casa di casamonica, così la rabbia impotente che non sa indirizzarsi verso il Potere nascosto si annacqua in qualche No-Tav isolato, localista e facilmente vanificabile. Oppure si fa obbediente al Grido Unico, ritwittando i post dei nuovi falsi Metello, strumentali al Potere che si rinforza.
Divisi e rincoglioniti i potenziali oppositori, il Potere fa il comodo suo, contento di vederci accapigliare su facebook sugli spaccini dei centri di concentramento migranti, arrestati in blocco per farne trionfi da safari social.
Che poi, mi ha chiesto Riccardo il cui universo diciamo è prossimo a quello delle droghe, mica se la saranno portata dall’Africa tutta quella roba, qualcuno deve avergliela pur data.
Grazie giovane amico, gli ho risposto, mi conforti che il seme del Dubbio, per quanto lo sotterri, prima o poi rigermoglia.
E te lo puoi fumare.
ps: il ragazzo in foto, sentenziato innocente vittima delle percosse nel G8 di Genova, è stato risarcito con 15.000 euro. Chi ha ordinato agli agenti l’azione è a piede libero.
Antonio Pizzola
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