“Il presidente riferisce che il 27 novembre scorso ha avuto luogo a Sulmona, su iniziativa del sindaco di quel Comune, un convegno di tutti i sindaci della Valle Peligna e dell’Alto Sangro per esaminare i problemi riguardanti la situazione economica dell’intera zona e vederne insieme la possibilità di miglioramento. Che nel corso dell’animata e approfondita discussione sono stati affrontati i problemi di maggiore interesse della zona, tra cui i problemi agricoli, industriali, turistici e urbanistici, e che dalla medesima è sorto, in particolare, il bisogno di dar vita ad un comprensivo intercomunale per passare poi, in secondo tempo, alla relazione di un piano di sviluppo intercomunale, quale mezzo indispensabile per risollevare la situazione economica della Valle Peligna e dell’Alto Sangro”.
Mese e giorno coincidono con quello di oggi, ma l’anno di stesura di questo verbale di consiglio comunale (quello di Raiano) porta in calce l’anno domini 1967: cinquantuno anni fa, insomma, a Sulmona, oggi, si parlava e si discuteva delle stesse cose di cui si parla e si discute ancora. All’organizzarsi “volontariamente in forma associativa con gli altri Comuni” è stato sostituito il termine più moderno di “giunta del territorio”, sono cambiati i sindaci e i costumi, ma il fine “di porre in atto una fattiva e organica collaborazione tra tutti gli enti locali interessati per risolvere i problemi delle popolazioni ricadenti nel comprensorio medesimo” è rimasto lo stesso.
C’è in questo salto nel tempo, nella lamentatio e nei desiderata, di questo parallelo temporale, tutto il senso della sconfitta di un territorio. Perché a ben guardare a fare qualche passo in avanti verso l’unità di comunità, intenti e servizi, alla fine, dopo mezzo secolo, sono stati, timidamente, in pochi: se si esclude l’esperienza, non ancora del tutto matura delle Terre dei Peligni, infatti, la Valle Peligna e l’Alto Sangro son rimasti, oggi come allora, profondamente divisi.
Pochi o inesistenti collegamenti, ad esempio, continuano ad esserci tra Alto Sangro e Valle Peligna nel settore turistico, con modelli e proposte di sviluppo che non solo non dialogano, ma che spesso sono profondamente diversi.
Della politica industriale poi è diventato ormai anacronistico parlare: dopo il boom degli anni Settanta, capannoni e tute blu sono progressivamente e inesorabilmente spariti dal paesaggio delle aree interne, mentre di politica agricola, probabilmente, non si è mai parlato veramente; così come di un piano urbanistico intercomunale che fosse in grado di regolare lo sviluppo edilizio del territorio, con dei veri e propri “mostri speculativi” che alcuni Comuni hanno alimentato approfittando dei paletti imposti nei Comuni confinanti.
La responsabilità di questo fallimento è in gran parte di Sulmona, città che doveva essere, già cinquantuno anni fa, leader e traino del territorio, ma che negli anni si è rinchiusa nel suo orticello e avvitata nei suoi egoismi, spesso e specie ultimamente, a causa di una classe dirigente impreparata e poco lungimirante.
Perché poi, nonostante il tempo da queste parti si sia fermato, tutto intorno il mondo e la regione sono andati avanti: le leggi, tante, che promuovono ancor oggi la condivisione di servizi e strategie, restano inascoltate. Dalle Centrali uniche di committenza, ai piani urbanistici sovraccomunali, fino alle baruffe e le liti sulla gestione delle società partecipate: il territorio non esiste, se non a parole. Le giunte del territorio restano solo enunciazioni da campagna elettorale, come mezzo secolo fa ancora a sognare l’unità dei diversi.
Perché non facciamo un dibattito pubblico sull’argomento?