Siamo trecento, ma non abbiamo intenzioni bellicose come Leonida alle Termopili. La convergenza con gli spartani non si trova nel modo, ma nel fine. La libertà. Da Serse, Re dei Re, loro. Da ciò che fu e mai più dovrà essere, noi. È un melting pot il nostro gruppo. Visi giovani e volti scavati dalle rughe. C’è chi c’è sempre stato. C’è chi ha appena comprato le sue prime scarpe da trekking. E poi c’è Timothy Kingham, da Liverpool. Non è venuto per scoprire la libertà. È venuto per ripercorrere i passi del padre, prigioniero ai piedi del Morrone nel Campo 78 di Fonte d’Amore. Lui che la libertà se l’è guadagnata tra i monti d’Abruzzo.
Ci benedice lo sguardo bronzeo di Ovidio, in ricerca anche lui della libertà negata dalla relegatio augustea. Il tempo sembra assisterci, colpo di coda dell’inverno a parte. Le chitarre sono state sostituite dalle casse. Battisti esce dal bluetooht e non dalle corde. Cambia la forma, non la sostanza. Libertà è anche accettare il nuovo che avanza senza troppi mugugni. Il passo è sostenuto e nel pomeriggio Campo di Giove ci accoglie. Sul paese troneggia Guado di Coccia, quasi a intimorire chi vuole sfidarlo. Se ne riparlerà il giorno successivo. Orione è bassa all’orizzonte, segno che la primavera è ormai sbocciata. Lo spiega Filippo, che di mestiere insegna Matematica e Fisica al liceo Patini di Castel di Sangro. Sotto gli astri e al riparo dagli sguardi, gli alunni cercano la propria libertà. Quella indicata dell’ago della bussola di ogni adolescente. Per Stefano, che il liceo lo ha concluso quindici anni fa, la libertà è la presenza, l’esserci. “È dare tempo al messaggio di questo cammino di arrivare. Anche essere oggi presenti, per i ragazzi, è libertà. Non lo capiranno forse oggi, ma lo matureranno un domani”. È la frase che accompagna l’alba. Un buongiorno con raggi di speranza. Magari fossero tutti così.
Ci incamminiamo per il Guado. “Una stella sulla Majella” è l’iscrizione di benvenuto sulla porta d’accesso ai seicento metri di dislivello. È un codice che utilizzava Radio Londra. Era il 1944 e dalle frequenze inglesi con queste parole veniva comunicato l’esito positivo della traversata della montagna abruzzese da parte di una sessantina di persone. Tra loro anche il sottotenente Carlo Azeglio Ciampi. Alla testa del gruppo Pietrorazio, sulmonese improvvisatosi guida del sentiero verso Casoli, sede del comando alleato. Le note di “Bella Ciao” riecheggiano da lontano. Il vento in cima ci schiaffeggia. Sotto la funivia i segni del passaggio del maltempo. Chiazze di coltre bianca. Quanto basta a qualche ragazzo per ingaggiare una battaglia a palle di neve. Ad aprile, lì dove ottant’anni fa le battaglie si facevano con il piombo. Anche questa è libertà.
Il tempo cambia velocemente in quota. Panino, acqua e un caffè, per i più freddolosi corretto. Si riparte verso Palena, ma prima c’è un omaggio da celebrare. Libertà va cercando, ch’è sì cara, verseggiava Dante affidando le sue rime alla bocca di Virgilio settantuno versi dopo aver rivisto le stelle. Ettore De Corti, sotto le stelle, per la ricerca della libertà è stato trucidato. A settecento chilometri da casa e ad un metro dalla salvezza. A ricordarlo una lapide. Una bambina, la più piccola marciante, depone ai suoi piedi una corona. Un omaggio annualmente rinnovato. “Viva l’Italia antifascista”, urla un uomo tra la folla alla faccia della digos. Si riparte, lasciando una storia alle spalle con la certezza di rincontrarla tra un anno o poco più. Per chi tornerà su questi luoghi. Forse non tutti gli studenti. Loro staranno in altri lidi. Gli chiediamo cosa significhi per loro libertà e dicono che “è poter fare tutto ciò che si vuole senza negare la libertà altrui”. È una risposta sincera, un po’ didattica, ma neanche troppo semplice e sulla quale qualcuno rumigina prima di proferirla. La discesa verso Palena prosegue a fianco a loro. Ci dicono che vivere nelle aree interne è davvero difficile. Che lì non esiste cumbia per scacciare la noia, che può divorarti e risputarti a brandelli. Palena è a uno schiocco di dita, il gruppo è sfilacciato e a riunirlo sono dei liceali che corrono, saltano, ridono. Senza motivo, con Lemon Tree dei Fool’s Garden in sottofondo. Sono gli stessi a cui abbiamo chiesto cosa significhi per loro “libertà” poco prima. Hanno superato l’interrogazione più con la prova pratica che con quella orale. Tra un mese e mezzo dovranno affrontare l’esame di maturità, ma è tutto cancellato in quei metri di corsa e sorrisi tra l’erba della Maiella. In quei quindici secondi non esistono esami. Non esistono preoccupazioni. Se non è libertà questa.
Arriviamo a Taranta Peligna, dopo la sosta al sacrario della Brigata Maiella. Una luce tricolore che squarcia il velo notturno che veste la montagna. Poi la cena e il rientro in camera. Il coprifuoco per gli studenti è alle 23.30, ma Stella a mezzanotte festeggia il diciannovesimo anno d’età, e attorno a lei ha i compagni di una vita. La libertà gliela concediamo. Un brindisi fugace e poi il rientro in camera, con le lancette di poco oltre l’ora limite.
Al risveglio l’estate è esplosa. L’asfalto ribolle. L’acqua va a ruba sui venti chilometri da coprire. Con noi un uomo, con la bandiera della pace attorno al collo. Sembra un supereroe con quel mantello arcobaleno. Non abbiamo chiesto il suo nome. Sappiamo che viene dal nord e ha scoperto l’Abruzzo grazie alla sua fidanzata, Silvia. Due giorni prima della partenza aveva avuto una brutta caduta sulle vette comasche. “Non mi sono rotto la schiena solo grazie allo zaino che ha attutito la caduta – ci spiega -. Non volevo assolutamente perdermi questa marcia”. L’Abruzzo sembra di conoscerlo ancor più degli abruzzesi. Ci racconta di aver visto i cavalieri alla lizza a Sulmona, e di aver assistito alla corsa della Madonna nella stessa piazza. Di aver seguito la rievocazione storica del Mastrogiurato a Lanciano e di aver assistito al bramito dei cervi a Campo Felice. Sembra un superuomo più che un supereroe. Semplicemente perché è un uomo buono. Lo capisci da come parla, dai termini che usa e da come ti guarda. Il mantello arcobaleno è solo un accessorio.
Casoli ci dà il benvenuto con le tribune dello stadio gremite. La squadra di casa si gioca la salvezza ai playout. Attorno alle mura, alcuni anziani su delle scale, per assistere alla partita. Senza biglietto, in libertà. Potrebbe essere un’istantanea proveniente dall’inizio del Novecento, se non fosse scattata a colori da uno smartphone. Le bandiere italiane sui balconi pareggiano quelle nerazzurre, con l’Inter che sta celebrando lo scudetto della seconda stella in mezzo a una fiumana di gente a Milano. Sacro e profano che si mischiano in una tavolozza verticale di colori. La gente ci saluta dalle proprie case, quasi fossimo i nuovi liberatori. Vedono i volti provati da sessanta chilometri di marcia. Li vediamo anche noi negli occhi di chi abbiamo vicino. La libertà è figlia di fatica e rivolta d’altronde. Capiamo che siamo al traguardo. Saliamo sul pullman che ci riporta a casa. Claudio, uno studente, mi chiede di sedersi a fianco a lui. “Mi sono divertito tantissimo”, mi dice mentre sto scrivendo. “Anche noi, Claudio”, rispondo. Ad una manciata di chilometri da Sulmona scruto il bus. Le palpebre di molti sono blindate come saracinesche. Ripenso a quello che ha detto Stefano: libertà è partecipare alla storia della nostra libertà. E poco importa se il messaggio arriverà nei sogni di questa notte o nel risveglio di domani.
Valerio Di Fonso
… “ i nuovi liberatori” … Si, come no, magari potevate portare un fiore e una preghiera al cimitero di guerra dei 1.300 soldati Canadesi caduti nella sanguinosa battaglia di Ortona, o anche a uno solo dei 42 cimiteri di guerra dei 90.000 giovani Americani morti per averci, quelli sì salvato e liberati, unitamente a tutte le altre forze alleate: britanniche, australiane, canadesi, francesi… e di morti se ne sono contati quasi 350.000 sepolti nei cimiteri di guerra lungo tutto la penisola italiana.
Gli “ Spartani” furono LORO… e non gli altri… senza di LORO non ci sarebbe stato nessun 25 Aprile.
A LORO tutta la riconoscenza e gratitudine… anche per non averci fatti cadere dalla “ padella del Regime fascista” nella “ brace del Regime Comunista”… che ancora oggi imperversa in molte “ famose democrazie comuniste “ nel mondo, fulgidi esempi di libertà dei popoli… e siamo nell’anno domini 2024 e non nel 1945.
Il tuo Commento e’ inquietante perché la dice lunga sull’ ignoranza storica e la mancanza di rispetto che ormai dilaga verso chi manifesta per ricordare che l’Italia ha combattuto fino alla morte il fascismo ….non si tratta di essere di destra o sinistra ….l’Italia caro Nico Leone e’ ANTI FASCISTA.
Ora capisco ancor di più l’importanza del Cammino della Libertà ….per ricordare sempre quello che fu e quanto sia cara ma delicata la LIBERTÀ
il prossimo anno parteciperò pure io !
Non hai capito nulla di quello che ho scritto… forse perché hai la mente piena di pregiudizi… prima di fare “ il Cammino della Libertà “, che chi scrive vi ha partecipato fin dal primo e per vari anni, visita qualche cimitero di guerra dei caduti alleati… soprattutto a LORO tutta la riconoscenza e gratitudine per averci liberato con il sacrificio della loro vita.
Ti ricordo che gli italiani erano quasi tutti “ fascisti” fino ad un giorno prima dello sbarco degli alleati in Sicilia.
Posa il fiasco
“È il codice che utilizza Radio Londra nel 1944 per comunicare l’esito positivo della traversata della montagna abruzzese da parte di una sessantina di persone, fra cui il sottotenente Ciampi. Li conduceva Pietrorazio, un popolano sulmonese improvvisatosi, come altri, guida del sentiero verso Casoli, sede del comando alleato”. Una stella sulla Majella
Giovanni Bachelet su Nuova Responsabilità (rivista dell’Azione Cattolica), luglio 2004. Le citazioni andrebbero virgolettate. Andrebbe indicato anche l’autore e l’opera.
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Bellissimo