Eravamo tutti alla Rotonda di San Francesco, ognuno con le proprie aspettative, con le proprie certezze; qualcuno aveva mandato a memoria le risposte a domande concordate, qualcun altro passeggiava avanti e indietro in preda all’ansia.
Lo scorrere inesorabile del tempo si mostrava con la cadenza dei passi del passeggio su Corso Ovidio, il gelato in mano a bambini sorridenti e il caldo, quello opaco delle sei di un pomeriggio di agosto.
Gli ultimi ritocchi ad una foto, le misure anti Covid, il chiacchiericcio tra amiche e qualcuno che già si mostra curioso per quello che sta per succedere… I nostri cuori gonfi di orgoglio e aspettative che attendevano soltanto che ogni seduta fosse occupata.
Ad un tratto tutto si congela in un lungo attimo di silenzio: davanti a quella T solitaria nel mezzo di un foglio bianco, una donna con indosso il colore del sangue versato da tutte quelle donne uccise per mano dell’uomo che amavano. In un istante crollano le nostre certezze, dimentichiamo tutto quello che avevamo preparato e la nostra attenzione si focalizza su quella macchia rossa e bianca che, con il volto rigato di lacrime, legge, forse molte volte, l’incipit della mostra e poi con meticolosa attenzione si appassiona ad ogni singola foto, ogni singola storia. La parte di famiglia che le è rimasta le fa da scudo ma lei si libera presto, continua da sola il suo viaggio nelle storie che hanno tutte un finale più lieto di quello della sua Teodora. Gli occhi sono rossi e gonfi di pianto ma la posizione di tutto il corpo mostra fierezza, determinazione, voglia di combattere. Non veste il lutto e non ha l’atteggiamento dimesso e distrutto come sarebbe anche normale dopo aver perso una figlia e un nipotino: la mamma di Teodora Casasanta non è venuta a celebrare la memoria della figlia ma a determinarne la rinascita. Credo che come me, tutti gli altri, hanno dimenticato quanto preparato e programmato e da quel momento ci ha guidati quello sguardo deciso, quegli occhi umidi ma limpidi, quell’affrontare da sola ma insieme con tutti noi il terribile passato prossimo, il presente difficile da vivere, soltanto per cercare un futuro migliore. Nulla più ha avuto importanza: soltanto raccogliere il testimone che questa donna, dopo la corsa più difficile della sua vita, ci ha allungato.
Ho immaginato che per lei stare lì con noi è stato un pochino come quando noi accogliamo la donna al Centro Antiviolenza. Non si giudica, non si offrono soluzioni, non si riparte da quello che non c’è più ma da quello che è rimasto; noi dopo una accoglienza usciamo distrutte, psicologicamente provate, con l’ennesima storia di violenza mai uguale all’altra addosso che resta come una crosta. La mamma di Teodora probabilmente si sentiva proprio così ma, esattamente come noi facciamo con le donne, è rimasta lì ad accogliere lei noi, ad ascoltare senza giudicare, a comunicarci la forza giusta per andare avanti. Gli antichi Greci dicevano che l’immortalità esiste ed è essenzialmente la celebrità, la memoria perenne… Con la sua presenza la signora vestita di rosso e di bianco ha reso Teodora immortale perché in ogni nostra azione, pur piccola e insignificante, da adesso in poi ci sarà sempre lei a ricordarci che sua figlia e il suo nipotino non sono morti invano ma dovranno rinascere insieme con tutte le donne vittime di femminicidio in ognuna di quelle storie di resilienza a lieto fine come quelle celebrate a Sulmona in un caldo pomeriggio di agosto.
Gianna Tollis
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