L’anno peggiore il 2017 in quanto a calamità naturali (tra sisma, emergenza neve ed incendio) in Abruzzo, è assodato. Non tutti hanno ben chiaro, probabilmente, ciò che in tema di incendio sul Morrone è stato non detto, o detto poco e male. A fare una ricostruzione, una “cronistoria” di come si è svolta l’intera vicenda, con tanto di critica agli interventi, ci ha pensato il Parco Nazionale della Majella nell’ambito dell’aggiornamento del Piano antincendio 2018. Quello stesso Parco intervenuto in alta quota nei giorni roventi senza avere, come anche del resto i volontari delle frazioni, l’attrezzatura adatta alla gestione attiva. Atti di pancia più che frutto di un ragionamento razionale, quello che avrebbe dovuto essere alla base di una efficace prevenzione. Ma tant’è. “Il malcontento, lo sgomento e l’ansia avevano ormai raggiunto il livello di saturazione” si legge nel Piano. Anche il duro colpo di un corpo forestale dello Stato in smantellamento ci ha messo il carico da novanta; sempre in prima linea, con le nuove disposizioni si è dovuto attenere al semplice controllo. Per non parlare dei mezzi aerei della forestale bloccati dalla burocrazia post riforma, privi delle nuove livree dei carabinieri e quindi inutilizzabili. In base all’attuale normativa, la competenza nella lotta attiva è dei vigili del fuoco (in concorso con le Regioni), agli altri restano “le funzioni di prevenzione e repressione del fenomeno degli incendi boschivi, nonché la raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati relativi agli eventi ed alle aree percorse dal fuoco”, e la gestione dell’accesso nell’area d’intervento.
Era solo un anno fa. Nella tarda mattinata di domenica 19 agosto i primi fumi fanno capolino in zona “Colle Grotta Rubini” a Pacentro, il punto di innesco localizzato in “un’area raggiungibile solo a piedi, a circa 20 minuti di cammino dalla strada SR487”. Tratto, tra l’altro, chiuso al transito dei mezzi così come anche quello dell’area faunistica tant’è che era intervenuta una ruspa nel rimuovere i blocchi di cemento che ostruivano il passaggio ai soccorsi. Il piromane, si ipotizza, si è mosso sulle sue gambe. Il giorno dopo altro incendio nelle vicinanze, sul Monte Mileto, per poi passare a quello delle Marane, punto d’innesco Santa Lucia. I canadair in azione lasciano malauguratamente Pacentro (dove l’incendio nel frattempo si allarga a monte) per intervenire sulle Marane senza ulteriori interventi da terra che, secondo il Piano, sarebbero stati auspicabili per contenere le fiamme o indirizzarle verso zone in cui sarebbe stato più agevole contrastarle. In questo modo l’intervento si è verificato “fallimentare”, non è bastato neanche il rinforzo del particolare elicottero Erickson. L’incendio inizia ad ampliarsi, si fa nei pressi del vecchio poligono e delle piccole discariche lì intorno piene di batterie e simili, si sentono piccole esplosioni (l’area non è mai stata bonificata dai rifiuti); i corpi intervenuti sul posto (carabinieri, vigili del fuoco, protezione civile) presidiano i limiti del centro abitato prestando servizio alle popolazioni, intervenendo sulle fiamme solo quando vicine alle loro abitazioni.
Il 22 agosto si istituisce il Com sotto coordinamento del prefetto e dove si organizza anche il Dos, struttura che, con l’aumentare degli incendi in quei giorni sul territorio, arriva a gestire tutta la Provincia. Ma al suo interno non c’è collegamento internet, né wifi, né postazioni gis, non ci sono mappe e cartine del piano Aib del Parco o della Regione Abruzzo, ma nemmeno pc, “e tutte le operazioni relative alla gestione di uomini e mezzi venivano effettuate manualmente”, solo il 30 agosto arrivano dal Parco almeno le carte dei sentieri aggiornate, fortunatamente, da poco. “Un limite per l’incisività generale dell’intervento Aib” si legge ancora nel Piano. Ed ancora: “In questo quadro, una specie di attività di supervisione viene di fatto assunta/delegata dai Vigili del Fuoco ad alcuni soggetti, una sorta di fiduciari (ufficiali esercito e carabinieri forestali), che pur senza rivestire alcun ruolo ufficiale nella gestione della lotta attiva, pianificano e concordano, autonomamente, con i referenti dei Comuni gli interventi da realizzare, a prescindere da norme, competenze territoriali e tecniche, portando direttamente all’approvazione in sede di Com le opere da realizzare, talvolta in assenza di concrete motivazioni di pubblica incolumità e pericolo imminente”. Uno “sportello autorizzativo unico”.
Nel caos l’incendio si sviluppa incontrollato. Gli interventi vengono sospesi durante la notte quando si poteva agire a temperature ridotte lasciando, di conseguenza, le fiamme libere di espandersi. Il Comune di Pratola si attiva, seguito da altri, per le piste tagliafuoco gestite “in maniera estemporanea e praticamente autonoma”, “senza una strategia unitaria, un progetto, un obiettivo operativo definito e organizzato a monte sull’intero scenario dai Dos e dai Vigili del Fuoco”. I residenti delle frazioni, senza permesso, salgono su in gruppi per operare da terra e tentare di bonificare le aree percorse dal fuoco, fenomeno gestito poi, alla bell’è meglio, dal Com. Il resto continuano a farlo i mezzi aerei, ma a sedare realmente il tutto è stata solo la pioggia di inizio settembre e quella del 10 e 11 dello stesso mese.
Criticità raccolte, spunti di riflessione, di intervento, di pianificazione che si spera non restino più nei cassetti impolverati delle istituzioni perchè lo scorso anno a sorprenderci è stato l’incendio, ma il territorio, si sa, deve essere pronto ad affrontare anche altre calamità. Non ci sono scappatoie: c’è da essere sempre pronti. Oggi una tavola rotonda si svolgerà nel luogo simbolo dell’incendio, il Colle della Vacche. Forse si può ripartire da qui, mentre la giustizia nel fare il suo corso non riesce ancora a spiegare chi e perchè e la natura, almeno questo, inizia lentamente a riprendersi i suoi spazi.
Simona Pace
Scusami ma queste cazzate chi te le ha raccontate?
“Il 22 agosto si istituisce il Com sotto coordinamento del prefetto e dove si organizza anche il Dos, struttura che, con l’aumentare degli incendi in quei giorni sul territorio, arriva a gestire tutta la Provincia. Ma al suo interno non c’è collegamento internet, né wifi, né postazioni gis, non ci sono mappe e cartine del piano Aib del Parco o della Regione Abruzzo, ma nemmeno pc, “e tutte le operazioni relative alla gestione di uomini e mezzi venivano effettuate manualmente””
sono nel piano di aggiornamento antincendio del 2018, come è specificato
Che linguaggio è questo?
Ma quello che ancora manca è la conoscenza del perché e di chi abbia dato fuoco al Morrone. E’ inaccettabile che dopo un anno non si sia ancora fatta luce sull’accaduto. Quindi, tutto può ripetersi.
Ottima ricostruzione degli eventi. Speriamo che in futuro si ragionerà meno di pancia e meno di interesse. Molti danni si sono sommati per quanto detto, per le inefficienze, per l’impreparazione, per le mancanze, per gli interessi di chi vorrebbe speculare sulle risorse naturali di tutti, così come per aver operato estemporaneamente o di pancia, del resto. E speriamo non si tagli più nulla, neanche il bruciato. Bisognerà vigilare ed impegnarsi al riguardo. VIgilare anche sul fatto che le cariche di chi si occupa di questi fattori non vengano (più) governate dalla malapolitica. La gente del posto deve farsi sentire anche per la difesa di quel che c’è e di quel che rimane, fosse anche quel che è bruciato. La gente del posto deve reclamare il proprio ruolo nella difesa e nella pulizia della zone fruibili lasciando meno spazio a ditte e privati che possano avere interessi nel tagliare. Che poi fanno come fa piu comodo a loro del resto e sarebbe inevitabile. Soprattutto onde evitare appetiti che possano incentivare chi ha eventuali interessi a tagliare, costruire, pascolare, eccetera: e quindi ad incendiare.