Nella divaricazione manichea in cui vogliono ridurci l’uno contro l’altro, radical con rolex, attico a Manhattan e maglietta rossa contro neo-popolari da piazza pulita, la semplificazione funzionale al dividi et impera si perde consistenti pezzi per strada.
Mancano per esempio all’appello i radical con l’attico a Parigi, a Capalbio o sull’Aventino, così come quelli ai quali l’orologio al polso fa allergia. Se poi si aggiungono quelli delle magliette rosse che quel giorno la nera e ce l’avevano in lavatrice e la bianca in attesa della centrifuga degli scuri, le carenze nella categorizzazione si moltiplicano, riducendo l’eterogenea massa di criticoni ad una sola indistinta massa di disfattisti. Che vanno dall’èlite delle poltrone interscambiabili e garantite a 200 mila euro l’anno fino ai precari a manco 5 mila che fanno il lavoro sporco a codice fiscale negli stage dei suddetti.
E dove li mettiamo i ragazzacci dei centri sociali che, per quanto vi stiano sulle balle, è difficile sfoggino rolex, feticcio di arricchiti e camorristi di ogni tempo, misti a una masnada di studenti, sedicenti artisti, ballerini e cantanti che rientrano nella categoria pur potendosi permettere il sabato solo il kebab del turco ad Arco di Travertino?
Del resto si sa, fare di tutt’erba un fascio giova ai fasci che se ne beano, ma non certo all’erba, né ai suoi consumatori, attenti a distinguere la cicoria per pulire il fegato dalle specie per ridere da soli e in compagnia.
Prendete me, per esempio che, pur ritenendo questo nuovo potere esaltato a me italiano alieno come un ET senza telefono, mi ritrovo ficcato fra i radical, senza averne i requisiti.
Abito in un attico, vero, ma sto in affitto, immigrato abruzzese discendete di migranti, in mezzo agli immigrati di Torpignattara, dove tremo all’idea che possano essere rispediti a casa loro perché non saprei più, a bangla rimpatriati, come rimediare i radicalissimi avocado maturi che fanno fare la cacca morbida a un euro e cinquanta e le doppie prese schuco di domenica pomeriggio dai cinesi (che poi, a proposito, perché coi cinesi che sempre immigrati sono e loro si che ci si sono davvero ricomprati gran parte del migliore patrimonio, siamo tutti buonisti?).
Partita iva da che ho cominciato a lavorare, non faccio il minatore né raccolgo pomodori, vero, ma mi faccio la mia parte di cosiddetto senza chiedere niente e senza aver beneficiato con alcuno dei poteri succedutisi negli ultimi 30 anni, nemmeno di un sola prebenda pubblica. Non porto orologi né gemelli né braccialetti, posseggo un portatile radical-apple (ma che ormai ce l’hanno anche i 5stelle) e giro con uno scooterone finto radica di seconda mano che un mio amico chiama bidet, ma che posso parcheggiare sotto casa spesso dimenticando le chiavi attaccate.
Insomma, mi pare che il mio curriculum personale mi dia il diritto almeno ad una sottocategoria, sempre di criticoni disfattisti e buonisti, ma certo anni luce dai radical veri che mi hanno sempre scacciato dai circoli capalbiani, esattamente come i loro avversari, neo-rivoluzionari incazzati a comando, che non puoi dire niente che subito ti rispondono: e allora il pd? Ed è finita la pacchia.
Voglio essere The Others, quelli che nel film del 2001 di Alejandro Amenàbar credevano di essere perseguitati dai fantasmi, per scoprire solo alla fine che i fantasmi invasori erano loro.
Mi sentirei come un pisello nel suo baccello in mezzo ai The Others, che come guru e ideologi referenziati di pura razza italica eleggerebbero il trio Morandi-Tozzi-Ruggeri che negli anni 90 di Mani Pulite cantavano, non senza una vena buonista ante litteram, Quando cantano, /quando piangono /gli altri siamo noi /siamo noi siamo noi.
Noi, quelli che usciti malconci e bastonati dal ventennio berlusconiano e dagli intermezzi piddini, frutti di bicamerali e nazzareni falliti, oggi faticano a comprendere cosa minchia sia quest’ondata di acidità da vedovelle in menopausa contro gli sfigati del resto del mondo, che ha contagiato tutti.
Questo frignare reverenziale da checche incattivite dall’astinenza, quant’è macho il capo di qua, e quanto ce l’ha duro di là, e al rogo chi lo ripudia, prima la razza italiana. E allora il pd.
Cosa mai, ci chiediamo noi The Others, ci è successo per non saper più ridere manco dell’ironia cinica e disillusa con cui abbiamo superato i peggiori figuri della nostra storia, quell’atteggiamento di ordinario auto-convincimento con cui abbiamo contemperato ogni diversità, accolti pure gli alleati neri crescendo generazioni di mulatti da tammuriate nere, semplicemente perché ce l’avevamo in casa.
Noi, preoccupati non tanto dei nuovi duci che durano il tempo che durano e più fanno i capetti più finiscono male, ma di che razza di rivoluzione al contrario sia sfogare la frustrazione di non contare una minchia non contro i veri poteri che ci hanno tolto pure la pensione e la musica per strada, ma con chi è più sfigato di noi.
A che ci serve sta rivoluzione se il destino che ci si profila è questo continuo litigare, con la bava di rabbia che cola dai monitor dei nostri smartphone contro la qualsiasi, dai vitalizi alle nazionali di calcio, ai vaccini, alle ong, ai pusher e alle prostitute i cui papponi fino a ieri abbiamo contribuito ad arricchire?
E’ questo che angoscia un vero The Others.
La perdita dell’unica identità italiana, quella serena, ironica, disillusione che ci faceva stare sotto l’ombrellone a contemplare il fondoschiena nella sdraio a fianco, avvicinando il marito, a prescindere se fossero leghisti o comunisti, solo per stracciarlo in una memorabile partita a bocce.
Antonio Pizzola
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