Parla, si difende, ma non convince il giudice: Massimo De Santis, l’agente di polizia penitenziaria arrestato l’altro giorno con l’accusa di aver introdotto quattro telefoni cellulari nel carcere di via Lamaccio, di cui tre sarebbero stati secondo l’accusa destinati ai detenuti, ha risposto questa mattina alle domande del giudice per le indagini preliminari Alessandra De Marco nel corso della convalida dell’arresto e dell’interrogatorio di garanzia.
L’uomo, 53 anni originario di Campobasso ma da quasi quindici anni residente a Sulmona dove lavora, ha sostenuto di aver portato quei telefoni dietro le sbarre per sbaglio, ovvero di averli dimenticati in tasca dopo averli acquistati a Napoli a prezzo modico, per poi rivenderli ad amici e colleghi.
Il giudice, però, ha ritenuto non attendibile la sua ricostruzione, anche perché l’agente ha consegnato i telefoni ai suoi colleghi solo dopo essere stato sottoposto al controllo del metal detector e dopo aver tentato, una volta sentitosi braccato, di tornare indietro con la scusa di aver dimenticato una cosa in auto.
De Santis, difeso dall’avvocato Alessandro Margiotta, ha rivendicato la sua condotta di assistente capo esemplare, il fatto di non aver mai avuto un provvedimento disciplinare e contestato di come sia noto che i telefoni cellulari dietro le sbarre vengono normalmente trasportati dai droni.
Per il giudice però il basco blu non era la prima volta che riforniva i detenuti con cui “è presumibile abbia un rapporto di fiducia”, tanto che oltre alla possibile reiterazione del reato, il giudice ha ritenuto possibile anche l’inquinamento delle prove.
Per questo Massimo De Santis resta in carcere, nonostante il suo avvocato abbia chiesto i domiciliari.
“Una misura eccessiva – commenta Margiotta – contro la quale ricorreremo al tribunale del Riesame”.
Le regole sono regole. Oltre all’aspetto penale (che il magistrato valuterà) c’è comunque un aspetto civile di tradimento vero e proprio dell’istituzione (ossia la Polizia Penitenziaria) che a codesto De Santis dava fiducia e lavoro.
Se la sua condotta fedifraga sarà confermata al termine delle indagini, costui va comunque licenziato in tronco, con trattenuta della sua liquidazione fino a che un giudice del lVoro non determini il danno erariale della sua condotta.
Tolleranza zero con chi tradisce la fiducia dello Stato.