Da un paio di giorni hanno staccato anche il riscaldamento, che tanto l’obiettivo dell’incubatore d’impresa sembra essere diventato quello di farle fuggire le imprese. E a dire il vero ci sono riusciti anche bene, visto che nella sede di Sviluppo Italia, di quel che era Sviluppo Italia, ora sono rimasti solo in tre. Tecnositemi, Clea e Gran panificio. Senza riscaldamento, però.
Evidentemente i liquidatori, tra cui la sulmonese Luisa Taglieri, avevano fretta di sgomberare gli spazi, sperando chissà che l’asta di ieri sarebbe andata a buon fine. Nei corridoi, infatti, girava voce che il Cogesa fosse pronto a presentare la sua offerta e che anzi c’era anche un privato pronto a concorrere.
E invece, ieri l’asta è andata deserta: l’incubatore resta una scatola semi vuota e invenduta, con quella montagna di debiti ancora da saldare e il prezzo dell’immobile, realizzato con soldi pubblici, destinato a crollare.
La storia, però, non è così semplice e nemmeno così chiara, tant’è che tra le varie carte spuntano ora anche quelle degli avvocati, con minacce di risarcimento e danni.
Sì, perché l’asta di ieri, per la quale il prezzo dei 5mila metri quadrati di capannoni coperti e 20mila metri quadrati di spazi all’aperto, era stato fissato a 820mila euro (a fronte del costo di realizzazione pari a 2,8 milioni di euro), forse non era così necessaria e soprattutto non lo era in vista di un possibile ulteriori ribasso, alla prossima asta, del 20%.
La stessa cifra, infatti, l’aveva offerta un anno fa proprio Clea (società che produce pannelli solari), ma poi per motivi misteriosi l’accordo è saltato.
L’acquirente, che aveva già risposto ad un bando prima offrendo 740mila euro, aveva alzato l’offerta nella speranza di chiudere la partita rapidamente. Ma, a quanto sembra, tra cavilli e richieste varie, la trattativa si è dilungata per mesi e mesi, fin quando i telefoni hanno smesso di squillare e i liquidatori hanno deciso a dicembre scorso di bandire una gara.
Ora che anche questa asta è andata deserta, è probabile che il valore dell’immobile scenderà ulteriormente, persino sotto quei 740mila euro che era stati offerti alla prima gara. Roba da far allarmare la Corte dei Conti. Tanto più che quel piccolo gioiello che era la speranza delle start up e di un possibile rilancio dell’impresa in Valle Peligna, è diventato nel frattempo un luogo abbandonato, disabitato, non servito e ora anche freddo.
Un vero capolavoro di gestione della cosa pubblica.
Sbaglio nel credere che questo rappresenta uno dei tanti esempi di come in questi anni si è inteso rilanciare il territorio?! Possibile che gli investimenti anche privati debbano passare sempre sotto il placet di qualcuno? (Perché pare essere questo il messaggio sottinteso). E possibile che da noi non esista un gruppo di imprenditori capaci di “fare” da soli per il proprio bene ed il bene del proprio territorio senza preoccuparsi di dover passare sotto certi “circoli”?
La risposta la trova nella disponibilità economica e nella volontà di quanto rischiare in proprio.
L’incubatore “Sviluppo Italia” non obbliga nessuno ad entrarvi, che poi sia “anche e principalmente” un carrozzone politico è un altro discorso.
i carrozzoni politici finiscono sempre male…
Il problema è che finisce male solo per i contribuenti che dovranno saldarne i debiti.
Demolito un carrozzone se ne fa un altro… o ci sposta in un altro, dove, sempre il contribuente, continuerà a pagare i loro stipendi.