Non ero totalmente soddisfatta del mio curriculum vitae. Ben impaginato, carattere tipografico “times new roman”, descrizione magnanima delle mie capacità, biografia lavorativa e autorizzazione al Trattamento dei Dati Personali correttamente scritti.
Lo leggevo, lo rileggevo, ma avevo la sensazione che qualcosa non andasse.
La foto!
Quella foto non mi rappresentava più: ero così quattro anni fa, non oggi. Non posseggo più né quella maglietta rossa, né quello sguardo smarrito.
Spalle contro l’unica parete bianca di casa, luce contro il viso per addolcire i lineamenti, sorriso appena accennato e “click”.
-Ommioddio che faccia. Sembro mia nonna. A pensarci bene, mia nonna era già nonna alla mia età, quindi va bene.
Salva, copia, allega et voilà: il mio curriculum era finalmente corretto e veritiero, dalla data di nascita, giorno in cui tutto cominciò, all’ultima esperienza lavorativa, giorno in cui, troppo spesso, siamo tentati di indicare l’inizio della fine.
Quanta vita racchiusa in poche righe. Neanche ricordavo di aver fatto l’educatrice di scuola materna per due settimane, forse perché è successo ventisei anni fa.
In realtà i primi soldi li guadagnai quando ero sedicenne, conducendo un quiz televisivo, poi ci furono le borse di studio e delle ripetizioni che diedi a un paio di bambini delle scuole elementari.
Ma questo è il passato, anzi: il trapassato remoto e non fa curriculum, ma solo esperienza.
Il curriculum vitae è l’unico contesto in cui il proverbio “Chi si loda si imbroda” non costituisce saggezza popolare. Su quel documento bisogna infatti descriversi entusiasticamente, senza barare, ma evidenziando i propri pregi e tutto ciò che si sa fare.
Riuscire a canticchiare il ritornello dell’ultimo brano di Ed Sheeran, sapendo persino cosa si sta dicendo, può trasformare una conoscenza dell’inglese da “scolastica” in “buona”. Saper andare su Facebook da computer o essere in grado di cambiare le cartucce alla stampante, viene considerato “ottime conoscenze informatiche”. Resistere all’istinto di mandare a quel paese la gente il lunedì mattina, ci rende dotati di “eccellenti capacità relazionali”.
In questo modo, i curricula sono tutti uguali e noiosi, soprattutto quelli di chi, come me, non è laureato, non ha conseguito una manciata di master e non ha partecipato a qualche corso di formazione dal titolo rigorosamente inglese.
Una volta tolte anche le esperienze in nero, che poi sono quelle che più ci hanno formato, perché eravamo giovani e non pensavamo ai contributi, agli assegni familiari e al t.f.r., il nostro documento rimane un elenco noioso di cose che abbiamo fatto o che ci vantiamo di saper fare.
È ovvio che poi gli eventuali datori di lavoro ci dicano che ci faranno sapere: è un “No” che , per garbo, non ci comunicano seduta stante, dopo uno sbadiglio.
Purtroppo il modulo del curriculum europeo, oltre l’elenco dei difetti e delle esperienze adolescenziali in nero, non comprende neanche la descrizione delle proprie condizioni fisiche. E così non ho avuto modo di digitare, accanto alla vetusta data di nascita, attestante maturità, pazienza, saggezza, esperienza ed età avanzata, che ho tutte le analisi a posto, so fare ancora la ruota, la verticale, la spaccata e, se mi sveglio con il mal di schiena, mi bastano cinque minuti di stretching per farlo passare.
In ogni caso il mio è un bel curriculum, almeno graficamente, anche se non vi figurano quelli che, a mio avviso, sono fattori fondamentali da valutare, per iniziare un rapporto costante e quotidiano con una persona (amica, socia o dipendente che sia), ossia l’elenco di pregi e difetti caratteriali.
Come fa chi legge quella specie di pedigree, a sapere se sono una persona sensibile o strafottente, gentile o maleducata, paziente o irascibile, efficiente o deficiente, empatica o antipatica?
Non trapela nulla da quella lista di competenze e qualifiche certificate. È solo un auto elogio. Una sorta di autopromozione redatta con lo scopo di impressionare chi legge.
Con parole ricercate e aggettivi enfatizzanti, ci descriviamo entusiasticamente, come fa Giorgio Mastrota nelle televendite, mentre cerca di convincere i telespettatori ad acquistare un prodotto di alta qualità e a costo contenuto. Non importa che, nel nostro caso, ci sia un lievissimo conflitto di interessi, creato dal nostro essere sia il sorridente promoter, che il morbido materasso in offerta, ad un prezzo straordinario, ancora per pochi giorni.
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Raffaella Di Girolamo
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