Il timore di rimanere coinvolto nell’indagine della procura di Pescara da dove, a breve, potrebbero partire nuovi avvisi di garanzia per la vicenda di Rigopiano. Il dubbio, confessato ad alcuni conoscenti, di poter essere macchiato da un’accusa (che però non trova al momento riscontri effettivi), che per quanto in fase preliminare, per lui, inquirente per eccellenza, sarebbe stata un’onta troppo grande da sopportare. E poi un quadro psicologico indebolito dalla “perdita di identità – come spiega la sorella Silvia – con il passaggio dal corpo forestale ai carabinieri prima, il pensionamento e il nuovo incarico alla Total poi, dove non si era trovato bene”.
Il mistero del suo gesto Guido Conti, l’ex generale dei carabinieri che si è suicidato venerdì sera sul monte Morrone, se l’è portato nella bara, da questa mattina adagiata davanti al banco del giudice dell’aula al piano terra del tribunale di Sulmona dove è stata allestita la camera ardente, in attesa del funerale che si terrà domani alle ore 15:00 nella chiesa di Santa Maria della Tomba.
Un mistero che Conti scioglie solo in parte nella lettera inviata proprio alla sorella Silvia (che però l’ha letta dai giornali) e nella quale fa riferimento proprio alla tragedia di Rigopiano, tragedia che sarebbe alla base, anche, della sua scelta di lasciare la divisa per intraprendere nuovi progetti.
“Ho provato a non pensarci, uno dei motivi che mi ha convinto a lasciare il mio lavoro o a tentare di fare altro o a disinteressarmi di tutto è questo. Ho cercato di non pensarci, di pensare a me, di trovare altri stimoli, avventure, progetti, inutile – scrive Conti -. Non vivo. Vegeto. Facendo finta d’esser vivo. Da quando è accaduta la tragedia di Rigopiano la mia vita è cambiata. Quelle vittime mi pesano come un macigno”.
Un peso insopportabile, dovuto al fatto che in qualità di comandante della Forestale di Pescara, nel 2007, partecipò alla fase autorizzativa dell’ampliamento dell’albergo, o meglio del centro benessere, travolto dalla valanga che nel gennaio scorso uccise 29 persone.
“Tra i tanti atti ci sono anche prescrizioni a mia firma – continua nella lettera -. Non per l’albergo, di cui non so nulla, ma per l’edificazione del centro benessere, dove solo poi appresi non esserci state vittime. Ma ciò non leniva il mio dolore. Pur sapendo e realizzando che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa mi sono sempre posto la domanda: Potevo fare di più? Nel senso: potevo scavare e prestare attenzione in indagini per mettere intoppi o ostacolare in qualche modo quella pratica?”.
Anche in questo, forse, c’è una perdita di identità: Guido Conti, secondo la sua interpretazione, non fu abbastanza Guido Conti, il protagonista delle grandi inchieste, il carabiniere-forestale che non faceva sfuggire nulla. “Avrei potuto forse creare problemi, fastidi. Pur non conoscendo neppure un rischio valanghe, anche perché il Cta non ne notiziava neppure l’ufficio di Pescara e ignorando la cosa del tutto, vivo con il cruccio – continua Conti -. In quel periodo ero presissimo e concentrato in tante grandi inchieste, che mi assorbivano mentalmente e fisicamente. Totalmente. Potevo fare di più? Non lo so. Vivo con questa domanda. Avrei potuto indagare. Ma nulla mi fece sospettare nulla”.
La via di fuga, Conti, non l’aveva trovata probabilmente neanche in quel nuovo incarico alla Total, la multinazionale del petrolio che lo aveva assunto il primo novembre scorso. Una bandiera di legalità per la multinazionale, sventolata sui giornali del posto, in un contesto molto ambiguo come è quello delle multinazionali del petrolio in Basilicata, tanto che era stato attaccato da più parti per aver prestato il suo nome alla causa.
Accuse che Conti aveva rispedito al mittente, rispondendo passo passo a chi denunciava un’operazione di facciata: convinto di vincere la sfida di “produrre e dare ricchezza diffusa e tutelare migliaia di posti di lavoro, di Italiani, rispettando le leggi. Tutte. In primis quelle ambientali”.
Poi mercoledì scorso le dimissioni “per motivi personali”, probabilmente, come la cancellazione del profilo Facebook, legate alla decisione di farla finita e in parte, forse, perché, a sentire chi gli era vicino, di quella sfida non era più così convinto.
Anche su questo indaga ora la procura di Sulmona che come tante autorità e semplici cittadini ci ha tenuto a salutarlo nella camera ardente. Telecamere e fotografi fuori: “Niente giornali”, come lo stesso Conti aveva chiesto.
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