
Una mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor.
O almeno, più che l’invasor, il suo spettro, agitato nelle news, nei social, nei dibattiti di monitor e tastiere da capi stato, capi popolo, loro megafoni mediatici e loro proseliti social, a ragione della necessità urgente di un riarmo contro il barbaro alle porte.
A ricordarsi come è sempre andata nella storia, solo il medesimo incubo del dormiveglia: l’evocazione della guerra è il primo passo per la guerra che ne deriva, nel rapido irragionevole precipitare della situazione subito a seguire.
Un principe viene ucciso a Sarajevo e in breve un intero mondo finisce in trincea a massacrarsi finchè non ne resta più uno.
Nessuno mai che vorrebbe la guerra, nelle declaratorie odiosa e insensata, soprattutto nell’Occidente della ragione, dei diritti e dei principi, eppure ogni volta necessaria nella narrazione che la precede e pretende.
Si, perché ogni guerra, a farci caso, ha sempre due ragioni fra loro spesso contrapposte: una è la favoletta infarcita di retorica da dare in pasto al popolo per convincerlo a sacrificarsi, l’altra sono gli interessi economici e strategici reali che la favoletta mistifica, strumentale ai poteri che vogliono conservarsi, affermarsi o espandersi.
La favoletta cambia ogni volta bandiera, pur sventolando sempre attorno agli stessi argomenti: un nemico prepotente e arrogante che preme alle porte di casa, un dio messo in discussione da un altro ovviamente falso, una terra promessa che non vuole concedersi, delle reni da spezzare per sentirsi imperiali, una risorsa di diritto in un qualche anfratto del globo che si ostina a restare di altri, un popolo da sacrificare perché è giusto si liberi del vecchio padrone prepotente per essere sostituito da un altro, retto e benevolo.
Quante storielle abbiamo dovuto sopportarci di popoli terroristi da sottomettere per ripristinare Giustizia o esportare Democrazia, quanti sbandierati dittatori impiccati o uccisi da commandi chirurgici perché sospettati di volersi armare, quanti territori, guardacaso ricchi di risorse, rasi al suolo perché rifugio di terroristi e che poi, a terroristi decimati, hanno avuto bisogno di essere ricostruiti con la moneta del vincitore. Quante volte, al ritiro degli eroici liberatori che ne hanno scritto la loro versione nella Storia, si sono svelati gli scempi, i danni e ripristinati i vizi e le prepotenze che quella guerra avrebbe dovuto risolvere.
Cos’è stato Garibaldi un eroico condottiero di una manciata di giovani arditi a cui intitolare piazze e statue o lo strumento del potere sabaudo che voleva riunificare al suo minuscolo regnetto un’intera penisola di poteri locali?
Eppure è strano come il popolo beota abbocchi ogni volta alla favoletta del potere di turno, nonostante questa somigli palesemente allo stesso fumetto della Marvel, supereroi salvatori contro supercattivoni distruttori.

Come sia possibile, viene da chiedersi, che lo scontro fra poteri – che restano sempre e comunque, da qualsiasi parte stiano, spregiudicati e indifferenti al popolo dominato-, si riduca alla kermesse fra vittima e carnefice: Davide dalla misera fionda contro il gigante Golia mostruoso e vorace, attorino di fiction artatamente pompato a salvatore di oppressi da sacrificare, contro il nuovo Super Maligno del globo, che lo sberleffa in diretta planetaria, umiliando prima che lui, la favoletta che la parte buona del mondo, succube del predecessore misericordioso disarcionato dal Maligno, ha raccontato al mondo.
No, popolo d’Europa, non c’è nessun occidente buono che vuole salvare il popolo oppresso dalla superpotenza cattiva, come non c’è differenza fra poteri quando si tratta di scongiurare il rischio dei missili avversari alle porte.
Sono figlio di una generazione decapitata, rapita alle terre sperdute che lavorava, ai prati isolati che pascolava, alle barche al largo di isole lontane in cui pescava perché il Potere di cui era quasi inconsapevolmente suddita per non averlo nemmeno mai conosciuto, voleva convincerla che prima la sabbia dei deserti della bella abissina poi i ghiacci artici in cui mandarsi in cancrena le gambe o le trincee del compagno dalla bocca digrignata volta al plenilunio, fossero la sua guerra.
Sono cresciuto così, con la rabbia e l’odio per il Potere dagli dei falsi e bugiardi, allevato con i racconti dei nonni falcidiati e dei genitori bambini cresciuti fra gli stenti, nutrito con le lettere piene d’amore e le capriole di fumo dei natali di licenza che ci hanno raccontato i poeti, questi si sinceri e veri, che restano gli unici miei eroi.
Io credo a loro, Ursula e tuoi relativi, teste di legno di lobby finanziarie in disputa con le nuove salite al potere, non al vostro inglesismo ipocrita Riarm Europe necessario e urgente, né al vostro nemico rosso alle porte che vorrebbe conquistarci, al quale invece banalmente serviamo così, produttori e consumatori delle sue risorse, più che amici o nemici di SpiderMan.
Lascio la conclusione al Sommo Ungaretti che dalle trincee di una guerra irrimediabilmente persa da tutti scriveva:
A ogni
Nuovo
Clima
Che incontro
Mi trovo
Languente
Che
Una volta
Già gli ero stato
Assuefatto
E me ne stacco sempre
Straniero
Nascendo
Tornato da epoche troppo
Vissute
Antonio Pizzola
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