Smart Love

Non è stato certo Lui, a fine anno possiamo ammettercelo, eravamo già diventati questo prima che arrivasse, evitavamo solo di dircelo.

Il nostro intero complesso di relazioni, sentimentali, umane, familiari, sociali, si stava sgretolando da tempo in una lentissima agonia de-pressiva in cui non accadeva nulla da tempo, se non il lento sfiorire.

Così il Virus ci ha fotografati, come se un Saturno salomonico, inflessibile e implacabile volesse costringerci a freezare il Tempo, per chiuderci a tu per tu con il proprio specchio, dove ci guardavamo solo per raderci o truccarci prima di uscire.

Senza scuse, alibi, scampoli, le scelte delle nostre vite e quanto se ne era prodotto in fila riflessi ai nostri occhi, attimo per attimo, in giornate che si allungavano come una chewing gum masticata. Sia se fossimo soli, sia se conviventi di persone, animali, piante, frutti o fiori fossero, soli a tu per tu coi bilanci della vita finora.

La coppia ce l’eravamo giocata da tempo, misurandone il vuoto nella distanza fra i due smartphone, culo a culo ai due capi del tavolo a cena, sfoderati a ripetizione fra portata e portata.

Sfuggendo alla domanda per anni e riempendone i silenzi con iperattivismi distrattivi extradomestici, pur di evitare gli sguardi dietro il monitor. Che avrebbero tradito non un amante, un segreto, una bugia, nemmeno un’insofferenza a lungo sopita, quanto semplicemente il baratro in cui s’erano nascosti i desideri.

Il virus saturnino è arrivato a spazzare via tutto , l’intera architettura di scuse come un risciacquo di dentifricio fra i denti, che sputava nel lavandino dopolavori, palestre, tanghi, shopping, bar, ristoranti, discoteche, lasciandoci lindi e pinti allo specchio, a guardare h24 nudi come stavamo messi.

Una possibilità di fuga però ancora c’era, lasciata come un totem familiare sul tavolo da pranzo, come un tamagoji di emozioni da cui non staccarsi mai, uno scrigno impenetrabile a cui affidare il nuovo Io sconosciuto anche a se stessi, per ritagliarsi un frattale di intimità tutta propria nella quotidiana scansione del tempo.

Lontani per un attimo dalla tensione di quello sguardo evitato, che avrebbe potuto tradire l’intimità segreta coltivata dietro il monitor.

La fuga che siamo riusciti a concederci è stata -ed è – costruirsi una nuova identità emotiva in una dimensione intangibile, dove magari essere quanto non ci eravamo mai concessi di essere per le rinunce della vita, dove sperimentare emozioni senza correre rischi: nessun peccato, è solo virtualità, come si accende in un attimo si può mettere in pausa, o spegnere, come ci piacerebbe accadesse nella realtà.

I sentimenti che ci eravamo illusi racchiudere nell’unità di tempo e spazio di un’unica relazione finchè morte non ci separasse -almeno nella promesse e nelle premesse-, si parcellizzano in una pluralità di rapporti più o meno occasionali o, al contrario, intimamente profondi, con cui condividere un pezzo della nuova eccitante intimità, a patto che resti nell’olimpo platonico dell’etere.

Senza nemmeno strategia o eccessiva consapevolezza, senza nemmeno quasi più l’ansia di colmare il Vuoto, semplicemente scendendoci come in una grotta confort di diritto, come a dire, cazzo, questo almeno me lo lasciate?

A guardarla dal cielo, tutti i segnali lanciati nell’etere dai terminali di mezzo mondo tracciano un’inestricabile ragnatela di flussi , la mappa delle emozioni dell’umanità racchiuse in qualche hard disk di google nel deserto afgano: un amico per una confidenza, un familiare per un bisogno, un commensale per una cena on line, un adulatore per massaggiare l’ego, un animo parimenti sensibile per scambiarsi sensibilità, un principe azzurro immaginario per riportare a casa la scarpetta.

Ma non oggi. Un giorno, forse, quando tornerà la voglia di uscire, arriverà la zucca che ci porterà alla festa dove perdere la scarpina fuggendo via, cinque minuti prima del coprifuoco.

Antonio Pizzola

Commenta per primo! "Smart Love"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non verrà mostrato.


*