Se il Morrone si sgretola nell’indifferenza

C’era un cratere tra le terre di Nina e Pasquale Pantano che dall’omonimo Casino si inerpicano fino alla pineta bruciata la scorsa estate sul Morrone: profondo una decina di metri e largo altrettanto e anche più: lo chiamavano il “vallone”, resti di una “ravara” (ovvero una frana), si narra da generazione in generazione, che alla fine del Settecento spaccò in due la montagna, portandosi dietro una parte del mulino e dell’ex convento medievale acquistato dalla famiglia Pantano nel 1865 e dove si narra sorgesse prima la vera casa di Ovidio.

Da ieri le terre di Nina e Pasquale Pantano sono unite da una distesa di detriti di terra e alberi, trascinati a valle con un impeto che solo la montagna sa imprimere. Migliaia di metri cubi di terra, scivolati lungo quel canalone nel cuore della montagna riempiendolo e che hanno cambiato, o ripristinato se si vuole, lo stato dei luoghi.
L’ultimo fenomeno di questa portata, ricordano davanti alla chiesa di Santa Lucia annessa al Casino gli eredi dei Pantano, risale al 1950: un’altra “ravara”, appunto, che però non fu così violenta come quella che la notte scorsa ha rischiato di provocare una tragedia.
Il fiume di terra e detriti, infatti, ha sfiorato ancora una volta il plesso medievale ed è andato a poggiarsi sul muro di cinta di due villette costruite più in basso negli anni Ottanta.
Fortunatamente il muro di cinta ha retto e i residenti di quelle villette, per il momento, hanno evitato lo sgombero e chissà conseguenze ben più gravi. Ma fin quando e se reggerà ancora, è tutto da verificare. I vigili del fuoco tengono sotto controllo il dissesto idrogeologico, ma per oggi è prevista ancora tanta pioggia e non si sa se quel tappo di fango, terra e detriti, reggerà ancora e se ha fermato e sfogato la sua corsa a valle.

A camminarci su, a questa ravara degli anni Duemila, il piede affonda nel terreno, si sente la fragilità del suolo, sotto il quale evidentemente scorre ancora l’acqua incanalata a monte. Grossi massi si sono aggrappati al terreno e alle piante strada facendo, mentre decine e decine di ulivi sono stati letteralmente sommersi dalla terra.
Scheletri di pino e di alberi costellano il fiume bianco di terra, mentre qua e là spuntano pezzi di carbone ancora anneriti, resti dell’incendio devastante che lo scorso anno lambì le terre coltivate dei Pantano.
Il sentiero della Caprareccia che sale la costa della montagna, è stato in parte interrotto dal muro di terra e le briglie in cemento, costruite dopo l’ultima ravara hanno attutito, ma non fermato, la violenza della frana.
La montagna è così, chi la vive e la frequenta, questa parte del Morrone, sa che prima o poi il vallone si sarebbe trasformato in un’autostrada per far sfogare la montagna. Ma il collegamento e gli effetti diretti con l’incendio dello scorso anno, sono evidenti e non solo ipotizzati. Il Morrone è più debole senza le radici a trattenere il terreno: tutti lo sanno e nessuno, finora, ha fatto qualcosa per porvi rimedio.

Non sulla testa del Casino Pantano e neanche sul resto della montagna ferita: all’eremo di Celestino V, ad esempio, poco più a nord, ieri sera la fiaccolata per Pietro da Morrone si è svolta come se nulla fosse successo. Eppure quando l’area dell’eremo venne riaperta nel 2013, dopo tre anni di chiusura, e uno sforzo di Provincia, Comune e associazione Celestiniana, si era stabilito che le misure di precauzione per riaprire i sentieri dovessero essere costanti.
In caso di grandi nevicate, piogge abbondanti o terremoti, si era messo nero su bianco, bisognava effettuare una verifica di tenuta idrogeologica. Cosa che non risulta essere stata fatta, nonostante la pioggia abbondante, i terremoti delle ultime ore e nonostante quell’incendio devastante che lo scorso anno ha indebolito il Morrone.
A pochi giorni dal voto del consiglio comunale sul cambio di destinazione d’uso dell’area, che con o senza chalet continua ad essere molto frequentata, specie in questi giorni, qualche precauzione in più, forse, andrebbe presa.
Perché la montagna non dà appuntamenti, non avverte. Un giorno ti piomba addosso improvvisa a cancellare anni di storia, modificare confini e terre. Sperando che nella sua discesa non travolga vite e abitazioni.

1 Commento su "Se il Morrone si sgretola nell’indifferenza"

  1. vedete quei tronchi di alberi ? quelli nonostante siano morti, a terra fungono da brighie, impedendo o rallentando i flussi d’acqua e di suolo, le cosiddette ravare, toglierli sarebbe disboscare ancora peggio il morrone. Per il resto purtroppo non si può fare molto nell’attesa che la vegetazione torni, sperando che nel frattempo gli appetiti degli incendiari non li costringano ad incendiare di nuovo. E questo dipende solo da Parchi e politica, che non devonmo prestarsi ai giochi od ai ricatti delle speculazioni.

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