Il governo dice no alla nuovo adeguamento del Piano regionale di gestione integrata dei rifiuti votato dal Consiglio regionale con la legge 5 del 23 gennaio 2018. Si tratta di una bocciatura che porta con sé una cocente censura politica per la Giunta regionale che sull’adeguamento del Piano aveva giocato molto delle sue carte in tema di rifiuti e ambiente.
L’impugnativa sancita dal ministero degli Affari regionali porta il destino del ciclo rifiuti in Abruzzo appeso sul filo della decisione della Corte Costituzionale che dovrà accertare se la legge regionale viola i principi costituzionali, entrando in un settore dove la normazione nazionale ha fissato principi generali. Se non è l’anno zero, poco ci manca. Sulla legge di adeguamento del Piano rifiuti la Giunta regionale e il sottosegretario Mario Mazzocca avevano investito molto in termini politici, anche perché la normativa regionale aveva l’obiettivo di escludere la realizzazione di inceneritori a recupero energetico. Ma per fare questo è necessario, secondo quanto dice la normativa nazionale, presentare numeri virtuosi nel campo della produzione e trattamento dei rifiuti.
La censura governativa investe sia il campo formale sia, e qui l’opposizione è ancora più netta, il merito della legge. Sul primo aspetto, il Governo contesta alla Regione un antico vezzo dell’assemblea legislativa, il fatto cioè di nomare con legge regionale provvedimenti che invece devono essere fatti con procedimenti amministrativi. “Da quanto premesso – scrive il ministero degli Affari regionali nell’impugnativa – risulta chiaramente come non sia possibile, per le regioni, approvare con legge regionale il Piano di gestione dei rifiuti, poiché lo strumento legislativo è strutturalmente inadatto allo svolgimento di alcuni passaggi procedurali cui il procedimento di approvazione del Piano è chiamato. In particolare, la previsione dei pareri di province, comuni e autorità d’ambito implica ovviamente che l’atto di approvazione del Piano motivi le ragioni per le quali ci si sia eventualmente discostati dalle risultanze di tale attività consultiva”. In sostanza la Regione non ha fatto concertazione con gli enti locali, sorvolando di fatto le competenze di questi ultimi. Con la legge regionale, Giunta e assemblea legislativa hanno pensato di aggirare alcuni importanti passaggi amministrativi che invece non possono essere aggirati, proprio perché devono essere motivati.
Ma le censure più pesanti, come detto, riguardano il merito della legge, perché alla Regione vengono contestati i numeri sulla produzione dei rifiuti. Nella legge si dice che si riduce la produzione dei rifiuti ma nel contempo non vengono forniti elementi in ordine alla riduzione stessa. Si tratta, insomma, di stime “pro domo sua”.
Lo scenario che disegna il Piano votato dal Consiglio, relativo all’orizzonte temporale 2014-2022, prevede una sensibile riduzione della produzione dei rifiuti urbani pari al 14% circa; la produzione di rifiuti passerebbe secondo le stime regionali da 593.080,29 tonnellate prodotte nell’anno 2014 a circa 520.902 tonnellate nel 2022, con un contemporaneo incremento della raccolta differenziata verso il raggiungimento degli obiettivi di legge.
Ma la realtà al 2016, secondo quanto riporta l’Ispra nei rapporti annuali, fornisce numeri ben diversi. “Contrariamente a quanto previsto nel Piano – scrive il Governo nell’impugnativa – come conseguenza dell’attuazione delle azioni di prevenzione attivate e da attivarsi secondo quanto indicato nel programma regionale, a partire dal 2014 la produzione dei rifiuti urbani è tornata a crescere in regione Abruzzo, passando da 593.080,29 tonnellate prodotte nell’anno 2014, a 593.817,90 tonnellate nell’anno 2015, a 601.990,75 tonnellate nell’anno 2016, come certificato da Ispra nei rapporti annuali. Giova inoltre evidenziare che, nello scenario di riferimento regionale al 2022, più che aver previsto un efficientamento dell’impiantistica di trattamento preliminare, appare piuttosto esservi un peggioramento”.
In una parola, dunque, il Governo ritiene non credibili le stime annunciate dalla Regione nell’adeguamento del Piano rifiuti. “Risulta chiaramente da quanto sopra esposto che molti aspetti della pianificazione regionale risultano non adeguatamente plausibili e non supportati da adeguata motivazione e documentazione. Da tale premessa risulta la conseguenza secondo la quale le valutazioni della Regione circa l’andamento della produzione dei rifiuti e la loro gestione non consentono di modificare il fabbisogno previsto nel d.P.C.M. 10 agosto 2016 secondo quanto risulta dal Piano stesso. Non ricorrono, infatti, le condizioni in presenza delle quali i fabbisogni ivi indicati possono essere modificati adeguandoli alle previsioni regionali. Da qui la conseguenza secondo la quale la legge regionale de qua, nell’approvare un nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti contenente valutazioni non plausibili e inadeguate circa la produzione e la gestione di rifiuti, ed escludendo in forza di tali valutazioni la necessità di realizzare un inceneritore con recupero energetico, contrasta con l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014 e con il d.P.C.M. 10 agosto 2016”. Con questi numeri, insomma, si rischia che l’Abruzzo possa ospitare un inceneritore.
Infine, e il dato non è secondario, il Governo chiude l’impugnativa sostenendo che “il Piano regionale de quo prevede un ingente ricorso alla discarica: in particolare, prevede un fabbisogno di 111.379 tonn/anno, cui vanno sommate ulteriori 20.000 tonn/anno che sono imputate ad un accordo con la Regione Basilicata ancora non realizzato. Ciò determina un ricorso alla discarica di particolare entità, in sostituzione al ricorso all’incenerimento con recupero energetico previsto invece dal menzionato d.P.C.M. 10 agosto 2016 sulla base dell’art. 35 del d.l. n. 133 del 2014”.
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