Sandro Mariani resta consigliere regionale: è quanto ha deciso il Consiglio di Stato che oggi ha emesso la prima delle attese sentenze relative ai ricorsi sulle elezioni regionali di febbraio scorso. I giudici amministrativi di secondo grado sono stati infatti chiamati a risolvere più di un quesito in relazione all’attribuzione dei seggi e alla legittimità della loro ripartizione. Cause tutte perse nel primo grado di giudizio da parte degli appellanti, ma che ora dovranno superare lo scoglio del secondo grado.
La prima, quella meno “invasiva” per la geografia del consiglio regionale, riguardava appunto il ricorso presentato da Lorenzo Berardinetti, consigliere e assessore regionale nella scorsa legislatura, la cui riconferma non è avvenuta quest’anno. In particolare Berardinetti contestava il ricalcolo del quoziente dopo l’esclusione delle liste non ammesse al riparto, ovvero i cosiddetti resti. In base a questi calcoli la sua lista, Abruzzo in Comune, a sostegno del candidato Giovanni Legnini, ha ottenuto il seggio nella provincia di Teramo, portando così alla elezione di Sandro Mariani, anziché, sosteneva Berardinetti, ottenerlo nella provincia dell’Aquila dove lui era il primo degli eletti. “La determinazione del quoziente elettorale disciplinata dalle richiamate disposizioni regionali – scrivono i giudici amministrativi di secondo grado – non consente un implicito ricalcolo successivo alla fase di esclusione delle liste che non hanno superato la soglia di sbarramento, e meno che mai lo impone”. Dunque l’elezione di Mariani è legittima.
Più attese sono però le sentenze relative agli altri ricorsi presentati e in particolare quello avanzato dal forzista Emilio Iampieri e quello del sindaco di Perano Gianni Bellisario per l’attribuzione dei seggi tra le province (che potrebbe portare all’uscita dall’Emiciclo o dell’assessore Mauro Febbo o del presidente del consiglio Lorenzo Sospsiri da una parte e del consigliere Roberto Santangelo di Azione Politica dall’altra) e ancora quello del centrosinistra sull’attribuzione del numero dei seggi dell’opposizione che ha visto premiati i 5 Stelle con sette consiglieri a fronte dei cinque ottenuti dalla coalizione di Legnini che pure ha ottenuto più voti in termini assoluti.
Infine c’è il caso dell’Udc, su cui pende il ricorso relativo alla legittimità della presentazione della lista, fatta senza raccogliere le firme. Secondo i ricorrenti il partito che ha eletto Marianna Scoccia avrebbe dovuto raccoglierle perché il gruppo dell’Udc, seppur costituito in parlamento, si era presentato alle elezioni nazionali in veste federata e quindi non era esente dal far sottoscrivere la candidatura agli elettori. Ipotesi contestata dall’avvocato della Scoccia, secondo cui il gruppo Udc è comunque presente in parlamento e di conseguenza è un riferimento nazionale che esime il partito dalla raccolta delle firme.
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