Ora siamo messi così. Con gli occhi e il cuore puntati su Rafah, questa città che fino a ieri non conoscevano se non i più esperti della storia. Ora invece la vediamo piena di tende attorno alle case, con i bambini che cercano in giro tutto quello che assomiglia a qualcosa da bere e da mangiare, con i grandi che provano a immaginare una via per scappare tutti da qualche parte ma non sanno dove. E prima o poi ci sarà la partita finale, carri armati contro tende, provate a immaginare. Questa storia di Gaza ci sta mettendo alla prova tutti, per quello che è successo il 7 ottobre, per quello che è successo dopo. Per come l’abbiamo raccontata, per come la stiamo raccontando. Io sono fuori dalle redazioni da due anni proprio da quando sono cominciate le due nuove guerre. Ma ho continuato a sentirli i colleghi, quelli che restavano e quelli che partivano. E tutti mi hanno detto, ognuno a modo loro, che qualcosa non stava funzionando nel modo di raccontarle. Non è mai stato facile farlo, la guerra nasconde la verità praticamente sempre, perché quello che vedi non è mai tutto. In Ucraina per esempio é durata poco la possibilità di coprire i due fronti, quello russo è diventato subito impossibile, l’altro sempre a rischio di seguire i percorsi obbligati suggeriti dagli ucraini anche per ovvie ragioni di sicurezza. Ma con Israele e Gaza sta succedendo qualcosa di più preoccupante. Facciamo fatica a trovare le parole giuste, libere direi per provare a dire le cose. Perché ogni parola che usi sai che sarà giudicata e non si tratta di polemiche editoriali ma di qualcosa di più profondo che potrebbe farti male dentro, perché ormai non ci sono molte sfumature, e le ragioni e i torti stanno tutti da una parte o dall’altra. Chi prova a dire, scusate ma non vedete quello che succede, quelli hanno fatto una cosa orribile ma gli altri hanno risposto con altrettanta ferocia, rischia di essere bollato come amico di Hamas o pennivendolo di Israele. In questo clima il lavoro dei giornalisti non è facile, quello degli inviati poi praticamente azzerato dal divieto di entrare a Gaza. Domani proveremo a parlare di questo con Lucia Goracci, che non vi devo certo presentare, felice di farlo in una libreria finalmente aperta nel cuore della città, in quella piazza XX settembre che una volta era il centro di tutte le nostre discussioni, dal Vietnam al professore di greco, dalla politica al che facciamo stasera. Magari si ricomincia da qui.
Angelo Figorilli
Il Germe seguirà l’evento, organizzato dal Tavolo per la pace Valle Peligna, in diretta Facebook sul suo profilo a partire dalle 17,30 di oggi (21 febbraio). Per chi non riesce a venire, per chi non riesce ad entrare, per chi non riesce a girarsi dall’altra parte.
Caro Angelo,
quello che più mi preoccupa in questo tempo di buio, non è tanto il conformismo, ma mi fa paura l’autocensura di parte del giornalismo italiano che sta smettendo la funzione di essere i nostri occhi e le orecchie sui fatti, ma, soprattutto, di essere il naso per farci sentire la puzza della realtà a noi lontana.
Buon lavoro
Grazie al Germe per aver deciso di tenere accesa anche questa luce, apparentemente lontana da Sulmona ma necessariamente vicina alle nostre sensibilità e alla formazione delle nostre coscienze.