I dati Istat, analizzati dallo studioso sulmonese Aldo Ronci, non disegnano un presente florido per il mercato del lavoro in Abruzzo. Nonostante i toni trionfalistici della politica (perché poi si sa, nei dati, ognuno legge e racconta quello che gli conviene), i numeri messi in evidenza da Ronci dicono che tra il quarto trimestre del 2015 e il quarto del 2016, l’Abruzzo ha perso 3mila unità lavorative, passando da 485mila a 482mila occupati. Che in percentuale segnano un decremento dello 0,7% a fronte di un incremento, su scala nazionale, dell’1,1%. Una dato percentuale che schizza ad un decremento del 3,9% (a fronte di una crescita nazionale dell’1,9%) se si raffronta con il quarto trimestre del 2014.
Insomma l’Abruzzo va sempre più giù, perdendo 12mila unità di lavoratori dipendenti e acquisendone 9mila indipendenti. Che spesso, poi, sono solo escamotage per celare, con l’apertura delle partite Iva (in Abruzzo c’è stato un exploit nel 2016) rapporti di lavoro a tutti gli effetti subordinati.
Dati che non possono non far riflettere sulla qualità del lavoro, oltre che sulla quantità. Quei lavoratori finti autonomi, sono spesso infatti un modo per togliere al lavoro valore e orari.
Basti pensare al ricorso che anche le amministrazioni pubbliche fanno all’esternalizzazione dei servizi a cooperative. Con tutto il calvario, e a Sulmona ne abbiamo un triste esempio, che questo comporta anche in relazione ai ricatti della politica.
Nel Paese dove è stato necessario ricorrere ad un decreto per evitare l’abuso dei voucher e dove persino i contratti nazionali vengono beatamente calpestati sotto il ricatto del licenziamento, d’altronde, non ci si può aspettare molto di più.
Quanto accaduto e accade alla Magneti Marelli di Sulmona, con lavoratori licenziati in tronco dopo trenta anni e altri presi per la gola con braciole e promesse di premi di produzione che valgono un cornetto Algida, è sintomatico di come un diritto si sia trasformato in una concessione. Così nei call-center, nelle fabbriche, nelle amministrazioni pubbliche.
Come ha spiegato Juan Martin Guevara, il fratello del “Che”, a Il Germe (guarda il video nella sezione “de visu”), oggi, più che la festa dei lavoratori, si dovrebbe celebrare e ragionare su quella degli sfruttati. I nuovi schiavi del terzo millennio, attaccati alla speranza di una concessione, piuttosto che alla trincea di una lotta.
Buon primo maggio.
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