Mi piace stare con lo sguardo perso nel vuoto, perché è sempre lì che riesco a vedere tutto.
Ogni elemento perde definizione, si annebbia e allontana, fino a scomparire. Non c’è più niente.
Esiste solo quell’attimo. Io e quell’attimo. Io in quell’attimo, che, perdendomi nel vuoto, trovo il senso di ogni cosa, anche di quelle più insensate.
Io e niente altro, perché nessuna cosa riesce a essere talmente pesante, da farsi zavorra e impedire il mio temporaneo viaggio nel vuoto.
Il vuoto (a rendere o a perdere: sta a noi deciderlo) dà forma al contenuto, ma non deve essere necessariamente riempito, perchè alcuni contenuti sono talmente vasti, da non poter essere trattenuti in alcun recipiente.
A volte mi perdo nel vuoto mentre compio un gesto abitudinario, di quelli in cui le mani sanno esattamente cosa fare e come farla, senza dover essere assistite dalla mente. Più spesso mi capita quando cammino, quando aspetto o quando sto sola per troppo tempo e finisco tutti i pensieri da pensare.
Smetto di tentare di risolvere i problemi, mi srotolo e vado.
Sopra le nuvole. Sopra ogni cosa. Sopra ogni disputa, più in alto di tutte le preoccupazioni, senza nessun dubbio.
Nessun ricordo da rivivere, vite passate da analizzare o altrui gesta da interpretare.
All’interno di una bolla di sapone, anzi no: io stessa in quei momenti sono una bolla di sapone libera e leggera, che vola senza scopo e meta, solo per il gusto di farlo. E’ nata per fare questo, morirà facendo questo, magari scoppierà sotto il tocco delicato della mano di un bambino, che riderà nel distruggerla e tenterà di ridarle vita, soffiando dentro un velo di acqua saponata.
Con lo sguardo perso nel vuoto, potrei essere tutto e invece scelgo di essere niente, galleggiando sulle sensazioni piacevoli che la vita, fin qui, mi ha regalato.
Una danza aggraziata, che decido di fare al ritmo di una melodia delicata e volo, piroetto e saltello, leggera come l’ultimo bel sogno della notte, quello che rende piacevole il risveglio; felice per il solo fatto di esserci, di poter respirare, camminare, parlare, provocare eventi e subire conseguenze. Vivere.
E piangere, urlare, abbracciare e respingere. Scrivere e cancellare. Sbagliare: sbagliare e perdonarmi. Perdonare, anzi no, accettare: i miei e altrui limiti.
Perché non solo io sono, ma tutti siamo: ognuno a proprio modo.
Non esiste la cattiveria, ma solo le incomprensioni. Qualcosa non ho capito e qualcosa non sono riuscita a spiegare.
Perdersi per trovarsi. Deconcentrarsi per un po’ da ogni problema, per concentrarsi sull’ essenziale. Sostare. Sospesa. Sospinta.
Poi tornare, sapendo con certezza dove atterrare e planare esattamente in quel punto, con gli occhi bene aperti e lo sguardo fisso su chi sono, come voglio essere e dove voglio stare. Ricaricata. Cosciente. Sicura.
Torno, mi desto, ritrovo tutto come lo avevo lasciato, ogni cosa ben definita, concreta, con un peso che grava e ne ricorda la presenza.
Con i piedi nella realtà, che sa essere tanto dura, sotto le nuvole, sullo stesso piano dei pensieri, delle preoccupazioni e delle paure di ogni giorno, mi sento per un attimo invulnerabile. Solo per un attimo.
“Basta che ci sia la salute”: sembrava una frase così sciocca, quando da bambina la sentivo pronunciata dagli adulti. Invece è proprio vero: “Basta la salute. Quando c’è la salute, c’è tutto. Con la salute e un paio di scarpe nuove puoi girare tutto il mondo. ” (Tanto pe’ canta’)
Per fortuna la salute c’è, per me e per i miei cari. Tutto il resto si sistemerà.
Io. Tu. Noi. Voi. Blablablà. L’ultima bolletta non risulta pagata. Che cucino stasera?
Vorrei smarrirmi ancora nel vuoto libero e leggero, ma non è possibile: ci sono i piatti del pranzo da lavare.
Sorrido felice, perché mi sono ricordata di avere un panetto di lievito di birra in frigorifero: stasera pizza. Domani si vedrà.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
Splendida. Davvero emozionante e… pura.