Pastore morto per intossicazione, la procura chiede il processo per il datore di lavoro

Era morto intossicato dal monossido di carbonio, alla ricerca di un po’ di calore in una stanzetta di un ex caseificio adibita ad alloggio per pastori, dove aveva acceso un braciere per riscaldarsi. Aveva solo 23 anni Ousmana Kourouma quando nel novembre del 2019 trovò la morte sulle montagne di Goriano Sicoli. Omicidio colposo ha ipotizzato ora il procuratore della Repubblica di Sulmona, Stefano Iafolla, che, pur facendo cadere l’ipotesi di reato di caporalato ovvero di sfruttamento, ha chiesto il processo per il datore di lavoro di quel giovane venuto dalla Guinea.

Massimo Di Girolamo, imprenditore agricolo cinquantenne originario di Ceccano, ma residente a Sulmona, dovrà comparire così il prossimo 5 dicembre davanti al giudice per le udienze preliminari Alessandra De Marco, che dovrà decidere se l’uomo dovrà affrontare un processo.

Secondo l’accusa Di Girolamo non avrebbe garantito al giovane immigrato tutte le tutele di sussistenza richieste: un alloggio riscaldato e acqua calda, quel minimo necessario per superare le rigidità dell’inverno alle porte. Per sopravvivere. L’imprenditore aveva spiegato ai giudici che nel contratto, che aveva regolarmente sottoscritto con il pastore, non era prevista la fornitura dell’alloggio, ma nei fatti Kourouma in quell’ex caseificio adibito a rifugio viveva da circa quattro mesi dopo essersi trasferito da Firenze.

Una triste storia ai margini che ora la procura ha chiesto di approfondire.

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