Je’ partito de capoccia, si dice a Roma.
Detto di chi, esasperato dall’insistenza dell’interlocutore, ex abrupto lo colpisce in faccia con una testata, con il precipuo intento di provocargli doloroso nocumento.
Partirgli di capoccia non è come partire di brocca, che parrebbe sinonimo e che invece, più che reazione dettata da moto di stizza contingente, è ottundimento della mente, persa in universi altri.
Partirgli de capoccia invece sottintende un atto liberatorio, si giustifica proprio in reazione alla violenza che si sente di dover subire, risposta orgogliosa e riparatrice al sopruso.
Il presupposto dell’insistenza dell’interlocutore che diverrà la vittima – il malcapitato cioè che daje e daje… – è requisito fondamentale per creare nel pubblico un sentimento di empatia verso il carnefice, trasformato in vittima, piuttosto che verso il malcapitato, considerato il vero l’aguzzino.
Voglio dire che se tu, esponente dei media globalizzati che non aspettano altro che infamare i movimenti di destra mostrandoli tutt’uno con le delinquenze di bassa periferia, vai a provocarlo a casa sua, “quella stessa casa che ve siete scordati nel degrado e nell’abbandono e che ora ve chiede er conto”, beh, te la sei annata a cercà.
Questo, in sintesi, la risposta della gente del posto, a leggerne i commenti sui social.
L’esecutore della capocciata, tale signor Spada, -attore ideale di una di quelle fiction sulla suburra romana che impazzano in tv, è l’eroe di Ostia 2 – che già che è 2 lasciamo all’immaginazione che roba sia- , è il salvatore di ragazzini che altrimenti starebbero per strada come una volta i preti nell’oratorio, i muccioli nelle comunità, i partiti nelle sezioni, ovunque, quasi quanto le parrocchie.
E seppure lo Spada fosse uno irascibile, di famiglia potente e pericolosa tanto da dirla mafiosa come nemmeno di Carminati e Company si può dire, seppure se la fosse presa più che con il sistema con un precario sfigato che dà il didietro per un’azienda pubblica che lo sottopaga e che ciò nonostante ci mette pure passione, seppure fosse lui chi detta la legge a Ostia e nemmeno una legge così legale, che je fa’? dicono a Roma.
Vuol dire che si sa far rispettare.
Come i Casapoundini, – che però si sono un po’ dissociati dallo Spada-, quel mix di retrò duciario, socialismo di borgata, attivismo parrocchiale e dogmatismo ultraconservatore che è la nuova spinta rivoluzionaria del sottoproletariato urbano.
(Anche perché è l’unica rimasta)
Niente partiti, niente sezioni, niente oratori, l’estrema periferia urbana è allevamento di sudditi a recinto chiuso, infimo livello metropolitano di Blade Runner dove piove soltanto e solo roba acida.
Sono loro l’unica faccia che cià er core de fasse vede, de guaddasse en faccia e de sporcasse le mano. Poca importa se se la prende con gli stranieri, delinquenti e diseredati che vengono a rubare il lavoro, (appunto).
Non ce l’hanno con i neri, dicono, ma prima i profughi di stato, lasciati in questi ghetti senza faccia,
Prima gli Italiani.
Lo so, fanno una tenerezza preoccupante a vederli raggruppati attorno al tricolore sventolante, – unici a sbianderarlo, oggi che manco ai mondiali si può fare più -, ultimi partigiani di un’idea di nazione finita associata solo a lutti, drammi e nostalgie di regimi che, grazie a dio, nessun casapoundino ha mai conosciuto.
Ultimo avamposto allo sbraco di un intero paese che non controlla più il centro, figuriamoci le periferie.
Eppure attizzano, questi casapoundini, rimorchiano come una volta i capelloni di Lotta Continua, quando i fichi, i trasgressivi, i contro-sistema, i rivoluzionari vicini al popolo e agli operai, erano i comunisti, e i fasci se non erano stragisti, padroni, giudici e borghesi, non avevano nessun appeal esotico.
I casapoundisti, comunisti del Duemila:
forza proletaria contro il sistema imperialista della finanza globale e del consociativismo di sapore democristiano.
Con l’unica differenza, nemmeno così trascurabile, che questi non sono figli di papà borghesi che giocano a fare la rivoluzione per la classe operaia, questi sono sottoproletari sul serio. Quelli che eleggono davvero cresciuti laddove li abbiamo fatti crescere, soggiogati all’unica legge che hanno rimediato in loco, la violenza di strada che si fortifica e diventa potere.
Come ogni potere, protettore di chi si ripara all’ombra della sua cupola e che su i suoi protetti prende forza e consenso.
Il senso di quella capocciata è tutta qui.
Dal carnefice sbagliato alla vittima sbagliata, in un momento sbagliato, per una ragione sbagliata, nel posto più sbagliato del Paese,
come un Negroni con lo spumante al posto del gin.
Antonio Pizzola
Commenta per primo! "Partije de capoccia"