Operazione post-sisma all’Aquila, tra gli arrestati anche un pratolano

La sua sarebbe una posizione residuale, un capo d’imputazione per il reato di falso ideologico, per aver firmato come presidente (subentrato) della commissione collaudo del teatro dell’Aquila, una sorta di sanatoria per risolvere un intoppo amministrativo. Tra i dieci indagati finiti questa mattina agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta condotta dai carabinieri dell’Aquila c’è però anche l’architetto pratolano Antonio Zavarella, a casa del quale questa mattina si sono presentati i militari per notificargli l’ordinanza di custodia cautelare.
Con lui ai domiciliari, ma con ben altre contestazioni, sono finiti anche l’ex dirigente del Mibact Berardino Di Vincenzo, noto architetto del capoluogo, ex sindaco di Caporciano e uomo scelto dal presidente Luciano D’Alfonso per soprintendere ad alcuni progetti del Masterplan, tra cui i lavori da eseguire all’Abbazia Celestiniana di Sulmona (destinataria di un finanziamento di 12 milioni di euro), finiti anch’essi nell’indagine della procura aquilana. E ancora una serie di tecnici e imprenditori che ruotano intorno alla ricostruzione del capoluogo, in particolare quella legata alle opere pubbliche: Lionello Piccinini, Marcello Marchetti, Mauro Lancia, Giampiero Fracassa, Vito Giuseppe Giustino, Antonio Loiudice, Graziantonio Loiudice e Leonardo Santoro.

L’indagine, avviata nel 2016 dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di L’Aquila, ha messo in luce un serie di condotte poste in essere da alcuni funzionari pubblici, inseriti nel contesto del Segretariato Regionale del MiBACT dell’Abruzzo, che, ricoprendo varie funzioni e ruoli nel contesto dell’assegnazione e controllo sulle opere di restauro successive al sisma del 2009, avrebbero gestito gli appalti della ricostruzione post sisma in maniera clientelare, attribuendo incarichi professionali (alcuni dei quali su scelta dell’amministrazione, altri su loro indicazione operati dalle stesse ditte interessate all’esecuzione delle opere) a parenti ed amici.
Stando a quanto ipotizzato dai Carabinieri, talune ditte si sarebbero garantite l’assegnazione di gare d’appalto con ribassi particolarmente cospicui, ottenendo successivamente il recupero, attraverso il riconoscimento di varianti in corso d’opera. Più in particolare le ditte esecutrici, in accordo con i funzionari, avrebbero avuto modo di recuperare i ribassi, durante lo svolgimento dei lavori, con le cosiddette perizie di variante, riassegnate ad affidamento diretto o con procedure negoziate senza gara, oppure grazie a perizie di adeguamento dei prezzi, con un aumento talvolta anche elevato rispetto all’importo iniziale dei lavori a base d’asta.

Il compenso per i funzionari si sarebbe concretizzato, secondo quanto ricostruito, attraverso l’affidamento di incarichi professionali a parenti o amici, le cui parcelle, peraltro, proporzionate al valore dei lavori, si arricchivano alla concessione di ciascuna variante, oppure attraverso l’elargizione di somme in denaro. Per alcuni procedimenti sarebbe stata, infatti, accertata sia la turbativa della gara per l’assegnazione dei lavori sia il relativo pagamento di somme da parte dell’imprenditore al funzionario compiacente, quale corrispettivo per il buon fine dell’accordo. Per evitare le comunicazioni obbligatorie all’Autorità anticorruzione (Anac) e, di conseguenza, il controllo, sarebbero state opportunamente concordate di volta in volta, con le ditte, perizie di variante al di sotto del 20% dell’ammontare dei lavori, “spacchettando” in questo modo l’importo del recupero del ribasso.
Dodici, in particolare, sono le opere pubbliche (tra cui come detto l’Abbazia Celestiniana e il teatro dell’Aquila) all’attenzione degli inquirenti e 35 in tutto le persone indagate, di cui 10 raggiunte questa mattina da un’ordinanza di custodia ai domiciliari.

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