Onore a Guido Conti ucciso dalla “troppa dignità”

E’ il giorno del dolore, dell’addio, dei perché che non trovano risposta, nonostante quelle lettere vergate di suo pugno, nelle quali si parla del “macigno di Rigopiano”.
Il feretro del generale Guido Conti esce dalla camera ardente allestita al tribunale di Sulmona poco prima delle 15:00, avvolto nel tricolore e seguito dai suoi effetti personali, i resti di quella divisa che aveva lasciato venti giorni fa: la sciabola e il cappello e una foto di quando venticinquenne decise di intraprendere la carriera militare, prima nell’Arma, poi nel Corpo forestale e poi, per la legge Madia, ancora nei carabinieri.
Ad attenderlo davanti alla chiesa di Santa Maria della Tomba un fiume di gente, migliaia di persone, i vertici militari, poche autorità civili, tra le quali si nota la mancanza del sindaco (sostituito dal vice), del presidente della Regione e di quasi tutti i parlamentari (ad eccezione della Pelino). Non era uno che piaceva alla politica Guido Conti, era uno scomodo, uno che faceva inchieste scomode, che al potere politico non si era mai piegato, che non si fermava mai davanti alle ragioni della legalità.

“In una società senza dignità, Guido era uno che ne aveva fin troppa, fino a morirne – trova le parole, e chi altri sennò, Giulio Rapetti, in arte Mogol, suo amico a Perugia – la presenza dell’Arma e di tanti cittadini che hanno voluto onorarlo è stata importante. Io sono stato onorato di conoscerlo, con lui ci siamo arricchiti”.

Seduti, inginocchiati, nel banco accanto, i familiari: la moglie Anna, le figlie Federica e Marianna, e la sorella Silvia. Composte nel dolore per onorare la dignità di Guido. Intorno il gonfalone del Comune e quelli delle associazioni dei Forestali, il Corpo che lui aveva scelto seguendo le orme del padre e poi, dentro e fuori la chiesa, una folla di gente che lo aveva conosciuto o che lo aveva solo apprezzato per la sua integrità e le sue inchieste.
Il saluto dello Stato è affidato al generale di corpo d’armata Giovanni Nistri, che ne ripercorre la brillante carriera e ricorda la sua attività di studioso e appassionato della natura, la sua affidabilità, la sua responsabilità.
Tutti sull’attenti le centinaia di militari, dei diversi Corpi, quando la bara esce dalla chiesa, mentre nello sfondo, sul Morrone bruciato, si adagia l’ultimo raggio di sole prima del tramonto. Quella montagna che lui amava e dove ha deciso di togliersi la vita venerdì scorso.

Il perché lo abbia fatto, ora che anche il test dello stub (ovvero l’analisi al guanto di paraffina) ha confermato che a sparare quel colpo sia stata la sua mano, è ancora tutto da scoprire. Il rimorso e i timori per Rigopiano restano la pista più accreditata, ma non è l’unica. La procura di Sulmona che ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio sta approfondendo le indagini anche sul versante di Tempa Rossa e sull’incarico che aveva assunto il primo novembre scorso come responsabile della sicurezza ambientale per la Total.

Sta cercando di capire cosa sia accaduto in Basilicata, il perché Conti non fosse contento di quell’incarico nonostante l’entusiasmo iniziale, quella frase confessata ad un amico sul fatto che “tra i soldi e l’ambiente, avrebbe scelto sempre l’ambiente”. Se fosse rimasto deluso e perché della sua nuova avventura lavorativa. Una delusione, culminata con le dimissioni di mercoledì scorso, che sicuramente ha contribuito ad indebolire il suo profilo psicologico, fino a spingerlo a compiere un gesto che nessuno, né tra gli amici, né tra i parenti, si aspettava potesse mai compiere.

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