Ho scoperto solo recentemente, nella piena maturità sul punto di sfarsi, che quanto avevo creduto e su cui avevo costruito le mie certezze e giudicate le mie mancanze, era sbagliato, così come evidentemente è stata fuori sinc la mia vita, sempre in ritardo più che in anticipo:
Io non sono un Boomer.
E lo dico pure con un certo orgoglio visto che mi ci sono sentito accusare spesso dai giovanissimi: adesso non fare il Boomer. Ho approfondito le categorie distinte per lustri, catalogando i nati dopo la guerra a multipli di cinque, per pensieri, desideri, attitudini e comportamenti.
Ed io, cari miei, sono un 5 che fa la differenza. Appartengo infatti per un pelo alla generazione successiva al boom, cuspide direi con la precedente ma estraneo alla successiva: niente botti, niente guiness, niente miti, solo una lettera dell’alfabeto, incognita e indefinita per sua stessa genesi: la X.
Sono della Generazione X, venuto al mondo ad inaugurare un tempo di crisi, la prima dopo il boom, e da allora cosi sempre, per karma, a cadenza costante, lungo tutta una vita. Mi sarei aspettato la chiamassero così, Generazione delle Crisi, invece si sono limitati indulgenti all’indefinitezza di un’incognita a raccontare un limbo di vaghezza, che sui libri di storia meriteranno a malapena un asterisco nelle note a pie pagina:
(*) ah si, ci furono pure quelli nati fra il 65 e l’80.
Per poi voltare pagina e passare al capitolo nuovo, il Duemila.
-Ho solo sfruttato le conquiste di chi mi ha preceduto-, ci accusava già il prof al liceo, – nessuna capacità dialettica e di critica, nessun sogno o aspirazione condivisi o ribelli, niente a che fare coi ragazzi passati sui quei banchi nei mitici anni precedenti, coi quali hanno riempito le fiction, i doc, i talk e i varietà di prima serata. Disimpegnato, apatico, edonistico, io e quelli a fianco a me, i primi adolescenti delle discoteche, bollati per l’intera giovinezza come quelli del riflusso.
Con quel prefisso che lascia intendere una minestra riscaldata o peggio un ritorno inaspettato di chi o cosa ci si era illusi ormai passato, come le prime mestruazioni delle compagnucce a scuola (sebbene non abbia mai capito di quale flusso originario saremmo stati il remake).
Quei benedetti anni precedenti 50, 60 e 70 che hanno perseguitato i posteri, fritti e rifritti da che ne ho memoria nella retorica dei miti, delle nostalgie e degli anniversari, nelle musiche di capodanno, nei talk degli opinionisti e degli amarcord, nei doc degli eterni tromboni, per finire impolpettati nel blob che fagocita nell’informe pure quanto di buono ne era avanzato.
Ce l’ho avuta a lungo con quelle generazioni eroiche, specie coi sessantottini più agguerriti mutati in pochi decenni in Volponi sempreverdi, che se non sono serenamente trapassati per misericordia biologica, sono ancora lì nella cerchia dirigente a giocare all’hobby del potere.
Certo non stava a loro cedere ai più giovani il posto con tanta tenacia conquistato, quanto piuttosto a chi era venuto dopo, vocato per destino a evolevere la storia: a noi Generazione X appunto, che però non li ha mai sostituiti, destituiti o defenestrati. In politica, negli istituti pubblici e privati, in economia, nelle università, nei media, nei centri di potere, nella cultura, la loro Narrazione ha voluto freezare la storia ai fasti e miti trapassati per darsi un alibi alla perpretazione, senza lasciare scuole di pensiero, senza coltivare il ricambio, se non pretendendo l’incondizionata idolatria autoreferenziata.
Se noi X non l’abbiamo fatto, se quel potere non ce lo siamo presi, se non siamo riusciti a dirne una che non fosse copia, contaminazione (come si dice) o decostruzione di quanto già strasentito, se non abbiamo sostituito il brunoveppismo nelle anticamere del potere è una responsabilità storica nostra, della cosiddetta Generazione X.
Per incapacità, debolezza e mollezza probabilmente, abbiamo preferito trascinarci ad libitum l’adolescenza senza portarci in pari col mondo adulto, come hanno dimostrato quelli fra noi, X più impegnati che ci hanno provato, risucchiati tutti nel buco nero della storia, meteore di paragrafetto di wikipedia.
Forse perché ci siamo affacciati nelle anticamere del potente di turno e ne siamo usciti più scettici; forse perché ci è presa tristezza nel vederli degradare e disgregarsi, poltrone, palazzi e palchetti d’onore compresi, crollati col muro di Berlino che sempre loro, i boomer, avevano costruito.
O forse, più per intuito che per consapevolezza, abbiamo capito che il potere è sovravvalutato, il successo svapora in desolazione, la poltrona prima che te la rubino si sfonda, la corsa a tutti i costi porta all’infarto prematuro. Tutto quanto ci hanno convinto ad agognare non funziona più, il latte, l’università, la carriera, il parlamento, il silicone, le mezze stagioni, il ritmo nel sangue, la mamma unica. Manco i soldi, diventati numeri binari su un monitor.
Forse il compito storico degli X era solo provare che l’ossessione per l’arrampicata, sappiatelo cari posteri, a meno di non essere un geko, è superata come gli anni 80.
Cosa da boomer.
Antonio Pizzola
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