Non è una regione per giovani: quelli abruzzesi sempre di meno e sempre più “mammoni”

Sempre di meno come numero e sempre più “mammoni”: l’andamento demografico dei giovani in Abruzzo lancia un allarme preoccupante e disegna un futuro di una regione di anziani.

La nostra regione, infatti, ha subito una flessione dei giovani, ovvero persone di età compresa tra i 18 e i 34 anni, del 26% negli ultimi venti anni, passando dai 292.435 del 2002 ai 216.046 che si contavano fino allo scorso anno, con una perdita cioè di 73.689 unità.

Un dato di tre punti percentuale più grave della media italiana, dove il calo dei giovani è stato, nello stesso periodo, del 23,3%.

Oggi in Abruzzo la popolazione giovane residente rappresenta appena il 17%, venti anni fa era il 23,2%. Un dato inferiore alle media del Mezzogiorno (18,6%) e l’unico, tra le regioni del meridione, insieme alla Sardegna (15,8%), a stare sotto la media nazionale (17,5%).

Giovani che restano a casa tra le mura domestiche per studiare, probabilmente in mancanza di impieghi immediati: il tasso di immatricolazione all’università, infatti, negli ultimi dodici anni è passato dal 56,4% al 64,7% (rispetto al 55,7% della media italiana), quello di iscrizione dal 54,8% al 55% (rispetto al 43,5% italiano) e il conseguimento della laurea dal 18,3% al 25,3% (rispetto alla media italiana dove la corona d’alloro la mette il 19,7%).

Impressionante, infine, l’aumento dei “mammoni” (anche questo, verosimilmente, indice di precarietà economica): tra il 2001 e il 2021 la percentuale dei giovani-adulti, compresi cioè in età tra i 30 e i 39 anni, che vivono ancora in famiglia è passato dal 20% al 35%.

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