
Moda e società sono due facce della stessa medaglia, che si riflettono reciprocamente. A quante di noi è capitato di sentirci sbagliate, non adatte, brutte? L’industria della moda gioca un ruolo chiave e di impatto sull’idea di “bello” e “accettabile”, soprattutto sulle donne, vittime di stereotipi di bellezza. .
Si idolatrano visioni distorte di femminilità, canoni estetici irreali e rigidi da dover rispettare.
Subiamo pressioni sociali e culturali e un bombardamento mediatico non indifferente, spesso con ripercussioni sulla salute psicofisica, dal rifiuto di sé stessi al senso di vergogna, fino ai disturbi alimentari. Gli stili di vita e di consumo dei giovani sono finalizzati a creare un corpo all’ultima moda. Dall’abbigliamento al cibo, tutte le scelte partono dal presupposto di renderlo migliore. Ma questa continua ricerca della novità e della perfezione estetica ha una corrispondenza nella quotidianità, nel modo di pensare e nell’immagine che soprattutto i giovani hanno di sé?
Alte, taglia 40, corpi sensuali, braccia non muscolose, pancia piatta, girovita stretto: è questa la figura di donna che è accettata dai canoni estetici. La nostra società esalta il mito dell’immagine facendo del corpo magro una icona idealizzata e l’unica garanzia per “essere nel mondo” e per essere qualcuno.
La moda non è certo il fattore più significativo nella diffusione dei disturbi alimentari quanto piuttosto la crisi contemporanea del discorso educativo che non riesce ad offrire ai giovani modelli educativi positivi.
La moda è da sempre sotto accusa per questo, infatti sono molte le donne che, bersagliate costantemente per le loro caratteristiche fisiche, alzano la voce.

Alla fine del 2006, il mondo delle passerelle si è dotato di un codice di autoregolamentazione: niente modelle più piccole di 16 anni e un controllo stretto della loro salute fisica.
È altrettanto vero che da anni diverse maison e brand internazionali hanno iniziato a seguire questa direzione, slegandosi da questi stereotipi per lanciare messaggi di INCLUSIVITA’, attraverso donne come Rebekah Marine, modella con una protesi al braccio destro o Winnie Harlow, affetta da vitiligine, ma anche modelle curvy e con disabilità.
Canoni non convenzionali e modelli di riferimento differenti, perché l’inclusività sia un diritto ma anche un dovere.
La moda è un mezzo di comunicazione importante, un veicolo incisivo di convenzioni estetiche e di bellezza, per questo è il canale migliore per poterli mettere in discussione e celebrare la complessità e la diversità, cercando anche di creare una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione in merito.
Da Gucci a The Attico, sono ormai sempre di più gli stilisti, pubblicitari, creativi, che hanno invertito la rotta, trasformando la moda in un motore di cambiamento culturale, permettendo a tutti di riconoscersi, di essere rappresentati, di mostrare bellezze libere da parametri imposti.

“La rappresentazione conta, per avere qualcuno da vedere e che mi faccia dire ‘Forse starò bene’”. Billy Porter
La strada è ancora tanta da fare, e non senza criticità e discriminazioni, ma questi esempi fanno ben sperare che il cambiamento si stia già realizzando.
Siamo noi a definirci, con la nostra diversità che ci rende unici.
Per una riflessione ulteriore proponiamo la lettura di “FORME” di Rossella Migliaccio che propone un approccio rivoluzionario che si basa sul concetto di “body positivity”. In questo senso FORME è un vero e proprio manifesto, un atto di ribellione contro l’idea che le forme si debbano per forza nascondere o considerare un problema. Un libro per prendere in mano la nostra immagine e renderla davvero nostra.
Giulia Di Pietrucci
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