Mi piace partire all’alba per arrivare in tempo e far sosta in uno di quegli autogrill pieni di souvenir, dolciumi e merci colorate che sarebbe bello comprare in blocco, invece ordino solo un caffè, come scusa per usufruire del bagno.
Mi piace allontanarmi da questa città e passeggiare tra volti ignoti, confusa tra la folla, minuscolo e anonimo pixel di una immensa fotografia, dove nessuno mi saluta pensando di conoscermi, senza avere la minima idea di chi io sia davvero. Nei luoghi lontani, ci trattiamo vicendevolmente con gentilezza e cortesia, perché siamo tutti estranei tra di noi e magari serenamente in ferie: non abbiamo avuto ancora l’opportunità di deluderci l’un l’altro. È anche questa la bellezza di un viaggio. Quando giungerà il momento di rientrare, percorreremo il tragitto al contrario, con la sensazione non di tornare, ma di andare, perché la strada che ci lasciamo alle spalle è sempre più breve di quella che abbiamo ancora da fare.
Mi piacciono le commesse sinceramente cordiali, che riescono a lavorare sorridendo, chiacchierando e facendo lievi complimenti ai clienti, con l’intento di sedurne il portafogli. Bugie innocue a cui personalmente fingo di credere per qualche minuto, sentendomi in colpa per tutti gli abiti non acquistati che dovranno mettere in ordine, una volta che sarò uscita dal negozio con la solita maglia nera.
Mi piacciono le vecchie foto, nelle quali sbirciare gli oggetti della quotidianità passata. Una volta i gioielli nello scrigno sul comò erano meno belli dello stesso scrigno intarsiato, lavorato e decorato a mano. Non solo i gioielli, ma ogni cosa era creata per durare nel tempo ed essere tramandata. La plastica non era ancora diffusa: ottoni, legni e madreperle rendevano tutto prezioso e longevo. Ogni oggetto possedeva un valore affettivo che veniva da molto lontano, anche per questo si riusciva a essere felici con poco: era un poco enorme del quale si aveva gran rispetto e cura. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di gettarlo via per acquistarne una versione più moderna.
Mi piacciono il profumo di soffritto e i canti che provengono dalle finestre aperte in certe ore del mattino, per far entrare l’aria fresca nelle stanze. Le donne affaccendate in casa non dimenticano mai di cantare l’amore, neanche quando la cesta dei panni da stirare è piena e i pavimenti sono imbrattati dalle impronte distratte di chi ha sempre fretta e mai tempo.
Mi piacciono i gatti grassi che, placidi al sole, con gli occhi socchiusi, sembra sappiano tutto della vita e soprattutto, fra una carezza e un croccantino, sanno come godersele tutte e sette le vite che sono state loro concesse.
Mi piace il posto aggiunto a tavola se c’è un amico in più e il vassoio di pastarelle comprato, anche se non è domenica e dovremmo metterci a dieta. Mi piace chi parla come mangia e chi parla mentre mangia e spegne la tv. Mi piace il silenzio quando le parole non bastano e le parole, quando il silenzio è assordante. Mi piacciono i gesti che non hanno bisogno di parole e le smorfie che fanno ridere meglio della barzelletta più bella.
Mi piace l’odore dello zampirone anti zanzare, che richiama alla mente i ricordi di tante estati spensierate, passate a giocare a nascondino grattandosi i ponfi pruriginosi, con il pensiero fisso al cartellone dei gelati Eldorado.
Mi piace osservare le donne e riconoscermi in ognuna di loro, nei pregi e nei difetti, negli sbagli e nelle conquiste. Mi piace che, nonostante siano passati tutti questi anni, la mia vita non sia ancora finita e abbia ancora tempo per capire quello che i gatti già sanno e tante donne raccontano alle piante nei vasi, per farle crescere rigogliose.
Mi piacciono le sorprese che mi fanno dimenticare quanto io abbia paura delle novità e le emozioni forti che annientano i congiuntivi: -Che bello che sei qui! Mi piacciono gli abbracci inaspettati, che non so ricambiare mai a dovere, i vestiti usati che profumano ancora dell’amica che me li ha donati e i ciuffi di capelli che si ribellano agli elastici, diventando boccoli perfetti.
Mi piace avere ragione e gridare: -Sono un genio! Mi piace avere torto, tanto la ragione è dei fessi.
Mi piace chi mi guarda negli occhi e capisce, ma vuole sentirselo dire comunque. Mi piace chi si arrabbia mantenendo lo sguardo buono, chi volta le spalle solo per ricevere i grattini, chi mi fa ridere con una battuta troppo stupida, chi è rimasto un po’ bambino, chi riesce ancora a commuoversi per il primo fiore di primavera e non lo coglie, non lo fotografa, ma mi porta a vederlo dove sta.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
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