In gruppi di quattro, accompagnati al tavolo e lì lasciati: al buio. Una cena molto particolare quella che si è svolta qualche sera fa nell’albergo Villa Giovina di Bagnaturo: un esperimento, un’esperienza, da imprimere nella memoria senza passare per la vista.
L’incontro e la conviviale è rimasta infatti affidata agli altri sensi. Il tatto per cercare piatto, posate e bicchiere; l’udito per percepire quello che era intorno, da dove provenivano i rumori e per avere un’idea di quanto grande fosse la sala; l’olfatto che si affina per prepararsi a capire quali sono le pietanze che verranno assaporate in un’esaltazione del gusto quando a portarle in tavolo è il cameriere, un cameriere speciale: Ivan Giovannucci. Non vedente, residente a Pratola, 48 anni: è lui che si è preso cura dei 20 commensali che hanno scelto di cenare al buio aprendosi a una nuova prospettiva sul mondo.
Preso posto a tavola, arriva subito la prima raccomandazione di Ivan: “Dimenticatevi del buio”. Gli ospiti cercano compagnia nella persona con cui sono gomito a gomito ma di cui non sanno nulla. Cercano di immaginare che faccia abbia, di ipotizzarne l’età, e di capire che mestiere faccia. A luce spenta, privi del supporto della mimica, sono costretti a prestare più attenzione alle parole che, come tutte le altre sensazioni, sono amplificate e acquistano un peso maggiore. Avvolti nel buio, si sentono più liberi di fare domande. Aboliti stereotipi, pregiudizi e giudizi, figli delle impressioni a prima vista, i partecipanti delineano i contorni meno sfocati ma più consistenti delle persone con cui interagiscono.
In compagnia di persone di cui non conoscono nemmeno l’aspetto scoprono l’importanza della collaborazione e della cooperazione: se l’estraneo che hanno al loro fianco non rimette il pane dove lo ha preso rischiano di non trovarlo, e, di conseguenza, diventano responsabili e consapevoli che se non rimettono l’acqua al centro del tavolo nessuno potrà più bere.
Durante la cena ogni portata nasconde un’insidia diversa. Dalla difficoltà nel distinguere l’acqua naturale da quella frizzante per versarla in un bicchiere che non vedono ma di cui percepiscono solo il peso, alla difficoltà di capire cosa stanno mangiando, se riescono a infilzare gli gnocchi e se hanno terminato le pietanze nel piatto.
Il tutto in un crescendo di sensazioni. I restanti 4 sensi, sottoposti a un sovraccarico di lavoro, hanno fiutato, tastato e assaporato fino in fondo tutto ciò che gli è stato servito, riscoprendo gusti nuovi e profondi tanto che quando agli ospiti è stato chiesto se riaccendere la luce per servire il dolce, la risposta è stata un secco no.
Una volta tornata la luce, i commensali sono tornati alla normalità. Forse il loro vestito era sporco, forse no, forse la persona che avevano accanto è più alta di come l’avevano immaginata, forse è esattamente la stessa che avevano immaginato, ma loro sicuramente sono diversi. Più riconoscenti del dono della vista, più liberi dagli stereotipi banali e obsoleti di cui abitualmente si è soliti vestire chi ci circonda, più empatici.
Un applauso ha invaso la stanza e Ivan ha preso la parola: “L’applauso è per voi, per esservi messi in gioco. Vi ringrazio per esservi affidati a me e per aver avuto voglia di vestire i miei panni per 2 ore perché se per voi l’esperienza è finita, questa è la mia vita e continua! Ma non lo dico con rammarico per me va bene così. La vita è bella lo stesso, spero di essere riuscito a trasmettervi proprio questo”.
Ivan vuole insegnare ad amare la vita in ogni sua forma, a collaborare con gli altri e a rispettare il prossimo . E questo quello che fa quando va nelle scuole: sensibilizzazione.
“Tutti compresi, nessuno escluso”: Ivan si rivolge sia agli alunni che alle maestre. “Tutti devono avere le stesse possibilità e per farlo è necessario superare i limiti mentali della gente che ci circonda educando alla diversità attraverso la condivisione delle esperienze. Rispondo alle curiosità dei bambini – racconta -. Se mi chiedono come faccio a leggere l’orologio spiego che ci sono dispositivi vocali o dispositivi tattili. Se mi dicono che sono fortunato perché trovo sempre parcheggio, cerco di fargli capire che per me è una necessità e non un privilegio. Se vogliono sapere come affronto le difficoltà della vita quotidiana, rispondo che quando sono passato dalla condizione di ipovedente a quella di non vedente, ho fatto dei corsi: da quello di autonomia domestica a quello di mobilità. I miei fedeli compagni sono il cane o il bastone; in molti, inoltre, non conoscono la differenza tra disabilità motoria e disabilità cognitiva, quali disagi possono comportare e come relazionarsi con persona affette da queste problematiche”. Continua Ivan: ”Questo dovrebbe essere parte del programma di educazione civica, perché a tutti potrebbe capitare nella propria vita di dover aiutare persone come me. Anche questo deve far parte della formazione dei cittadini del domani. Io non posso che essere orgoglioso di prendere parte al loro percorso di crescita”.
Giada Corradetti
Un articolo ben scritto, pienamente coinvolgente e che fa riflettere sui falsi stereotipi di noi normodotati e sulle difficoltà di chi non lo è.
mah…………
Grande Ivan
Ivan è entrato nelle nostre vite in punta di piedi. Conquistandoci con il suo modo di essere. Ci ha insegnato a relazionarci con la sua disabilità, come se questa non esistesse. Per noi infatti non esiste….lui è Ivan, Ivan il Grande!! Senza di lui noi non avremmo mai capito veramente cosa vuol dire, vivere al buio. Una grande lezione quotidiana di vita. Norina e Paolo