Entra dalla finestra con passo leggero come ogni notte d’estate che si rispetti. Stelle in cielo, timori nell’animo e accordi sulla chitarra sono sempre gli stessi: Fa/La minore/Re Minore/Fa/Do/Si bemolle. E’ l’inizio della colonna sonora di uno spettacolo silenzioso al chiaro di luna dal 1984. Lo sarà anche per i 552 maturandi del comprensorio peligno-sangrino, pronti a intonare Venditti mentre la sera copre i timori e accende i sogni: 213 studenti dell’Iis Fermi, 186 del’Iis Ovidio, 101 del Patini-Liberatore, 34 dell’Alberghiero “De Panfilis” e 18 dell’Istituto Agrario “Serpieri” equamente suddivisi tra le sedi di Pratola Peligna e Castel di Sangro.
Fine e inizio. Conclusione di un percorso e porta d’accesso al mondo dei grandi. La notte a fare da spartiacque. Appena sei ore che dividono il passato accogliente dal futuro incerto, turbolento, misterioso. Pianti e rimpianti sotto gli astri, che se la ridono. La nostalgia prende il sopravvento sulla paura. L’avvolge, la nasconde tra le tenebre, la mette in fondo allo zaino. Più giù di diario e astuccio; di penne e fantomatici libri da far finta di cercare per evitare l’interrogazione.
D’altronde non esiste nulla che faccia più paura di un passato che non ritornerà. Ma anche questa è la Maturità. E’ accettare la malinconia, ribaltarla, tramutarla in preziosi ricordi da rispolverare. E’ guardarsi indietro prima di fiondarsi su quel foglio bianco. Chiudere gli occhi, far partire la diapositive del lungometraggio più bello. Cinque anni che si susseguono in momenti, attimi. Il primo giorno di scuola, la prima verifica, la prima sufficienze, il primo 4 a matematica. La prima gita, le prime liti, i primi baci e i primi pianti. Ma per questa generazione è anche il Covid, la Dad, le mascherine, l’addio al compagno di banco, la normalità. La calma dopo la tempesta. La Maturità è accettare che il treno, oggi, arriva al capolinea. Il viaggio è stato tortuoso: panorami mozzafiato e schermi di computer. I cento giorni assieme e la solitudine nella cameretta vuota. Il sole sul banco di scuola e il mondo che crollava in mille pezzi fuori dalla finestra. Un saliscendi di emozioni che oggi finiranno tra le colonne di un foglio protocollo.
Maturità è comprendere che la sconfitta non è sinonimo di fallimento. Che tutti commettono errori a nemmeno vent’anni, e che sulle matite c’è la gomma proprio per rimediare. Che il brutto voto non è il viso che guardi nello specchio la mattina; non è la croce da portare in eterno ma la fotografia di un istante uscita sfocata, mossa. Una polaroid venuta male. Colpa del fotografo, colpa del soggetto. Nulla di irrimediabile.
Maturità è capire che pagheresti per riavere indietro le odiate sveglie alle 06:00 di mattina. In primavera, in autunno e in inverno. Con la pioggia e la neve. Con il vento che accompagna le foglie secche a danzare un valzer mitteleuropeo.
E’ pensare che, in fondo, quell’interrogazione di latino non fa poi così paura in confronto al futuro. Che magari su quella sedia scomoda avrei passato volentieri qualche giorno in più. Che quell’entrata in seconda, o quella fuga davanti all’entrata di scuola, per dribblare il compito di fisica l’avrei potuta evitare. Che quell’ansia che “fa tremar le vene e i polsi” era del tutto immotivata. Che riavvolgeresti il nastro per rivivere gioie e brividi. Che la scuola è stata schiaffi e carezze. Ha saputo abbracciare e soffocare allo stesso tempo.
Maturità è proprio questo: apprezzare il chiaroscuro di un viaggio che, come Lesbia per Catullo, è stato amato e odiato. Capire che ti rimetteresti in carrozza solo a fine corsa, in una notte alle porte dell’estate.
Valerio Di Fonso
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