Con l’attacco frontale fatto ieri dal consigliere Fabio Pingue, capogruppo di Avanti Sulmona, al consigliere regionale Andrea Gerosolimo, la sfiducia al sindaco Annamaria Casini si è fatta molto più pesante. Prendendo le forme, più trasparenti, del vero scontro in atto e soprattutto svelando quello che, seppur “segreto di Pulcinella”, aveva conservato finora una parvenza di facciata. Perché la vox populi e quella delle opposizioni, non tuona mai così forte come quella di chi, dietro le quinte, c’è stato dal primo momento, da quando due anni e qualcosa fa, si preparò quel gran carrozzone, quella macchina da guerra, che portò “Noi Sulmona” a sbaragliare le urne e un navigato avversario come Bruno Di Masci.
Al di là delle parole di fuoco contro il “Re nudo” e “l’uomo senza casa in cerca di perenne sistemazione”, Pingue con il suo comunicato ha infatti alzato il tiro e mostrato il vero bersaglio, trasformando ovvero dimostrando come la figura istituzionale e politica del sindaco, sia stata e sia in realtà una semplice comparsa, quasi un burattino nelle mani di un manovratore a cui, pure, lo stesso Pingue ha risposto per quasi due anni.
In altre parole Pingue ha sostanzialmente delegittimato la Casini, non considerandola neanche più un interlocutore politico. Riducendola ad un’esecutrice di diktat, “mani obbedienti al voto, giuramenti di fedeltà e lusinghieri proclami”. Una mazzata durissima, più di qualunque altro attacco diretto si potesse pensare all’indirizzo del primo cittadino. Quasi a ribadire che un commissario ha più autonomia decisionale.
A questo punto al sindaco dimissionario non restano molte alternative a meno di una settimana dal termine ultimo, il 31 agosto, della decisione di dover ritirare le dimissioni o confermarle.
La prima è quella di rimanere coerenti alla sconfitta, tenere la testa alta, e non tornare indietro nella decisione. La città andrebbe incontro ad un commissariamento abbastanza lungo, ma dall’altro depurerebbe il Palazzo dalla campagna elettorale.
La seconda è quella che la vedrebbe presentarsi in consiglio, nei fatti raccogliendo l’invito e ammettendo la fondatezza delle accuse di Pingue, per cercare una maggioranza “di salute pubblica” (non necessariamente con connotati politici). Dichiarando il fallimento del progetto gerosolimiano e cercando così di ridurre il periodo di commissariamento di qualche mese. Nella speranza di avere i numeri e magari di riuscire a portare a casa qualche risultato. Perché certo è, che senza una prospettiva politica e senza risultati amministrativi come è stato finora, la sua sindacatura durerebbe si e no fino a Natale.
La terza, che verosimilmente è la più dannosa per la città, è quella che la Casini ritiri la sue dimissioni e si presenti in consiglio non per continuare (ovvero iniziare) a governare, ma per istituzionalizzare lo scontro politico in un gioco al massacro sullo scarico di responsabilità politiche e amministrative. E così andare avanti, con pochi e infuocati consigli comunali, fino alla non approvazione di atti obbligatori che cioè comporterebbero la nomina automatica del commissario (bilancio, rendiconto, opere pubbliche). O almeno fino alle elezioni regionali che probabilmente si terranno a primavera.
Domani è il 27 del mese, giorno di paga, e potrebbe essere l’ultimo per la Casini e la sua giunta, come dipendenti della comunità. Sperando che quest’ultimo stipendio non serva per acquistare altre fiches per una personale e per nulla appassionante partita a poker. Tanto più che la Casini e il progetto civico, si sono rivelati l’ennesimo bluff per la città. Perdente.
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