Con Bella Mia ha sfiorato il Premio Strega e vinto il Brancati; con L’Arminuta ha vinto lo scorso anno il Campiello, il suo pubblico lo ha conquistato con il primo libro Mia madre è un fiume, Donatella Di Pietrantonio si è affermata così nel panorama della letteratura nazionale. Odontoiatra e scrittrice in età matura ha scritto i suoi primi versi all’età di sette anni, “Una cosa terribile” ricorda. Abruzzese cresciuta ad Arsita (Te), ora vive a Penne, il suo contatto con l’Abruzzo è forte, c’è nei suoi testi, un po’ meno ne L’Arminuta, ma non scompare del tutto nel vortice dei temi universali. La Di Pietrantonio domani (13 febbraio) sarà al liceo Mazara alle ore 11.00 per Classico Moderno.
Nelle scuole porta i suoi libri, ma cosa in particolare vuole trasmettere ai ragazzi?
Parlo di quello che vogliono, non mi va di affliggerli con una lezione frontale, di quelle ne fanno a sufficienza. A volte sono gli insegnanti ad introdurmi, a volte lo faccio da sola, altre sono loro che domandano.
Qual è la domanda che più spesso le è stata rivolta?
Perchè non ho dato un nome a L’Arminuta (la traduzione dal dialetto è la ritornata). Un nome non ce l’ha perchè la protagonista non ha una identità. Il nome dona una identità nella società e L’Arminuta è una protagonista resiliente, la lascio in itinere.
Come nascono le sue storie?
Parto da un’unica idea forte, poi procedo con addizioni. L’idea è quella di proseguire con L’Arminuta, ma ci sto ancora pensando.
Con questo libro è entrata a far parte del catalogo Einaudi, come la fa sentire?
Un bell’effetto, significa entrare nel catalogo storico della letteratura.
Lei è una odontoiatra e scrittrice, queste due professioni possono integrarsi o aiutarsi a vicenda?
Essere una odontoiatria mi mette in relazione con le persone. Da lì arrivano degli stimoli, una relazione presuppone una certa empatia, un contatto. Ogni giorno i bambini hanno la capacità di sorprendermi, non escludo che qualche battuta di Adriana venga da lì.
E’ legata a qualche personaggio in particolare?
Lo scrittore è legato a tutti i suoi personaggi, tentiamo di frammentarci.
Nei suoi libri risalta in particolare il tema del rapporto madre-figlia, perchè?
E’ la relazione fondamentale per il bambino, da lì nasce un modello di relazione, è chiaro che se c’è qualcosa che disturba ciò influenza il futuro. L’uomo vive un periodo più lungo come “cucciolo”, quindi è statisticamente più probabile che si presentino disturbi. La maternità è amore, accoglienza e c’è una parte opposta, il rifiuto e l’abbandono che sono quelli di cui scrivo. Si dice che uno scrittore ha il proprio demone ed il proprio libro, io metto il mio nodo irrisolto nella scrittura.
Cosa sognava da bambina?
Tante cose. Gli animali, mi piace osservarli, da bambina in particolare, vivevo in un borgo rurale. Sognavo già di essere una scrittrice, scrivevo sempre nella fantasia, in dialogo con me stessa, un dialogo immaginario, non scritto.
Considerato il particolare periodo socio-economico, cosa consiglia ai giovani: di essere sognatori o ancorarsi alla realtà?
La scelta è mettersi d’accordo con se stessi. L’eventuale sicurezza, lo stipendio, la precarizzazione del lavoro, l’accontentarsi o sfidarsi nel perseguire un sogno che sembra destinato a non sfamarci? Dipende dai sacrifici che si è disposti a fare. Io credo valga sempre la pena perseguire il proprio sogno, certo bisogna sudare lacrime e sangue, ma se c’è motivazione i sogni si possono incarnare.
Cosa pensa del dibattito che si è acceso in Italia su fascismo ed antifascismo a seguito degli ultimi fatti di cronaca?
Questo dibattito tende ad emergere sempre in concomitanza con alcuni fatti. La vigilanza su certi rigurgiti, nonostante siano trascorsi decenni, deve essere alta. E’ vero che per Macerata si tratta di un caso isolato, ma è vero anche che nel dibattito pubblico bisogna aver miglior uso delle parole perchè esse arrivano a tutte le orecchie, non sappiamo mai dove vanno a finire. Ciò vale soprattutto per i politici. Il livello di attenzione e responsabilità deve essere alto.
Simona Pace
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