Nel centrosinistra regionale sta andando in onda da settimane l’inseguimento del candidato in fuga, che tutti sanno essere Giovanni Legnini, fra le altre cose ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Cinque anni di governo regionale del centrosinistra – ma anche di governo nazionale – però, hanno completamente polverizzato il consenso in favore dei Democratici. Il presidente di Regione col suo modo di fare sornione, si è fatto una platea quasi sterminata di nemici. Lungo il percorso, tante sviste che gli avversari non hanno fatto passare inosservate ed infine una gestione politica autoritaria – in particolare quella all’interno del Pd. Ispirata dal modello “renziano”, dove il cerchio magico fa il bello e il cattivo tempo per tutti, l’azione di governo di Luciano D’Alfonso non passerà di certo alla storia di questa Regione, non per meriti positivi almeno. E infine quella fuga a Roma anzitempo per andare a sedersi sui banchi di palazzo Madama mantenendo per lungo tempo la doppia carica, comportamento da molti definito come puramente opportunistico.
Ora da queste macerie la coalizione deve provare a ripartire. Senza una classe dirigente a cui sia stato permesso di farsi le ossa, senza una rete di militanti e di circoli realmente attivi suoi territori, senza una leadership chiara o degli obiettivi programmatici evidenti. Come un trucco di magia ben orchestrato, si vorrebbe far scomparire dietro le quinte il disastro dalfonsiano, ripartendo dall’unico uomo che ancora gode di una certa credibilità in Regione: Legnini, l’uomo in fuga appunto.
Un Legnini che tutti invocano, l’ultimo è stato oggi Donato Di Matteo che ha dichiarato: “Sosterrò il centrosinistra solo con Legnini candidato”. Tutti lo vogliono perché potrebbe essere l’unica carta giocabile che permetterebbe al centrosinistra di non darsi per morto in partenza. Un personaggio attorno al quale si vorrebbe creare una coalizione ampia – ampissima forse dovremmo dire – con un pezzo di centrodestra dentro, cosa peraltro già sdoganata da D’Alfonso, e che sia in grado di far scendere in campo in tanti della società civile.
Lo stesso Legnini ci crede quando nella lettera al Messaggero scrive: “Ai tanti che mi chiedono insistentemente in queste settimane: ma ti candidi? rispondo con un’altra domanda: e tu ti candidi? Solo se arriveranno tante risposte da altre personalità abruzzesi, donne e giovani , rappresentanti del mondo del lavoro, dell’impresa, delle professioni e della cultura, mi deciderò a fare un passo che non era nei miei propositi e progetti di vita”, ignorando completamente la dissoluzione con la quale si presenta il centrosinistra, peggio ancora il Pd. Si parla di rinnovamento, cambiamento e alternatività, come se fuori dai circoli del Pd ci fosse la fila di persone che smaniano per essere candidate o per partecipare al progetto. Certo nello schema legniniano il Pd verrebbe riciclato – alle brutte non candidando nemmeno il simbolo – per sembrare veramente nuovi e alternativi, ma gli elettori potranno davvero credere a questo che pare per metà un gioco di prestigio e per l’altra metà una operazione sfacciata di maquillage politico?
Basterà convincere volti nuovi ed esterni alla politica per vincere? Del resto parliamo di elezioni che al di fuori degli addetti ai lavori non interessano nessuno. In questi mesi solo il notabilato politico parla di elezioni regionali, come occasione per rimettersi in gioco, fuori da questi però, nel paese reale, nessuno si sbraccia per sapere quale sarà il candidato del centrodestra o se Legnini si convincerà definitivamente. Senza contare la fluidità dell’elettorato, che non si sente più parte di uno schieramento, ma vota di volta in volta quello meno compromesso col passato e che promette il cambiamento più realistico.
Insomma in uno schema da seconda Repubblica, con il bipolarismo, forse l’opzione Legnini avrebbe anche avuto un senso e qualche possibilità. In questa post-seconda Repubblica tripolare, la sua candidatura servirebbe soltanto a dare un minimo di credibilità ad uno schieramento già dato per perdente e che il consenso lo ha eroso consapevolmente o meno, provvedimento dopo provvedimento, come dimostrano con evidente chiarezza anche i sondaggi, dove danno il centrosinistra è intorno al 15%, contro il 38 dei Cinquestelle e il 43 del centrodestra.
Savino Monterisi
Messa così dovremmo concludere: che votiamo affà?
Non ci convincerete mai che oramai la democrazia è virtuale o affidata ad un governo predeterminato che, visto quello in carica, è quanto meno pericoloso perché superficiale e ignorante.
sinceramente meglio Legnini che i 5 stelle…e meglio anche dei vari Di Stefano e company!