La storia genomica della residua popolazione di 50 orsi marsicani del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise al centro di un articolo della rivista dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, Pnas che ha pubblicato uno studio di un gruppo internazionale di ricercatori, coordinato da Giorgio Bertorelle dell’Università di Ferrara.
Un posto di prestigio per uno studio affascinante sul mondo e sulla storia biologica dei plantigradi, che rivela lo straordinario e complesso percorso evolutivo degli orsi appenninici rimasti, attraversato da crolli demografici e accumulo di mutazioni deleterie, ma anche di diversità nei geni del sistema immunitario e olfattivo, e specifici aspetti morfologici e comportamentali. Il Parco e l’Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”, hanno voluto approfondire le conoscenze sull’orso marsicano, il progetto è stato messo a punto utilizzando campioni ematici, raccolti da animali catturati a scopo di ricerca nel Pnalm, a partire dai quali sono stati sequenziati i genomi.
L’analisi dei dati genomici ha permesso di scoprire che circa 3-4 mila anni fa una singola grande popolazione europea di orsi bruni venne ridotta ad una serie di piccole popolazioni più o meno isolate tra loro. “La causa principale di questo processo è stata probabilmente l’intensa deforestazione operata dai primi agricoltori Neolitici, e in Italia centrale l’orso marsicano subì un vero e proprio collasso demografico e rimase isolato” sostiene Giorgio Bertorelle. Questo comportò una perdita enorme di variabilità e l’accumulo di molte mutazioni potenzialmente deleterie. La spiegazione di Andrea Benazzo suggerisce che sono “gli effetti negativi prodotti dal caso, che possono portare rapidamente all’estinzione le piccole popolazioni”. La domanda sorge dunque spontanea, come è possibile quindi che l’orso appenninico sia sopravvissuto per così lungo tempo e che appaia tutto sommato in buona salute? A rispondere Emiliano Trucchi “Analizzando con maggiore dettaglio i genomi, abbiamo scoperto alcune corte regioni dove l’orso appenninico non ha subito alcuna sostanziale perdita di variabilità e questi tratti sono più frequenti dove ci sono geni importanti per la risposta immunitaria e il sistema olfattivo”.
Insomma il risultato della ricerca ci fa capire che la sopravvivenza dell’orso appenninico sia legata ad un processo particolare di selezione, detto bilanciante, che ha permesso di mantenere alti livelli di variabilità a questi geni. La selezione bilanciante è stata sorprendentemente efficiente e ha permesso di mantenere adeguate difese dagli organismi patogeni e una buona rappresentazione olfattiva del mondo esterno.
Alcune mutazioni sull’orso marsicano venute alla luce mostrano che alcuni geni che regolano l’aggressività in altre specie di mammiferi rilevano un elevato numero di differenze nell’orso appenninico in confronto con gli altri orsi europei. Quindi avrebbero reso meno aggressivo il comportamento degli orsi nella piccola popolazione appenninica, Paolo Ciucci dell’Università di Roma La Sapienza “Non si conoscono casi di attacco diretto all’uomo e questa maggiore docilità potrebbe aver mitigato la percezione di minaccia da parte delle popolazioni locali e quindi la persecuzione dell’orso marsicano” L’orso appenninico a quanto pare avrebbe trovato una serie di contromisure per resistere al vortice dell’estinzione. Conclude Giorgio Bertorelle “Questa popolazione deve essere costantemente monitorata, ma rappresenta anche un bellissimo esperimento naturale che ci può aiutare a capire meglio come il delicato equilibrio tra caso e selezione naturale determina l’evoluzione e la sopravvivenza nelle piccole popolazioni”.
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