Prima del 10 marzo 2020, non convivevo davvero con i miei figli. Dispersi tra scuola, lavoro, sport e amici, il nostro era più un far ritorno a casa, dopo aver passato la giornata a sbrigare commissioni, doveri e piaceri irrinunciabili. La sera, a cena, era il momento in cui riuscivamo finalmente a guardarci negli occhi, per chiederci a vicenda “Come è andata oggi?”, ognuno in attesa che arrivasse il proprio turno per sfogarsi di una giornata particolarmente storta o per raccontare l’ennesima brutta figura che ci aveva avuto come protagonisti.
Adesso le giornate sono molto diverse: le ore da passare insieme abbondano e condividiamo per tutto il giorno spazi, tempi e modi. Dopo più di un mese passato insieme chiusi in casa, siamo in grado di interpretare silenzi, sospiri e canzoni altrui, rispettando reciprocamente gli attimi di scoramento e le scatole girate, che in questo periodo non hanno bisogno di un motivo scatenante per ruotare.
Abbiamo imparato soprattutto a condire ogni situazione di abbondante ironia, ridendo di tante piccole sciocchezze, forse perché sono le uniche che possono far ridere, quando non c’è proprio niente da ridere. La presenza in casa costante, complice e comprensiva dei miei figli sarà l’unica cosa che mi mancherà di questo periodo.
Loro sono diventati due Zelig viventi, sempre alle prese con la creazione di vignette e video idioti, con cui poi mi intasano la memoria del telefono, io invece rimango sul classico, cercando di prendere queste giornate lente con un po’ di umorismo spicciolo e demenziale.
Ad esempio, se prima mi arrabbiavo quando qualcuno a tavola esagerava con il parmigiano sulla pasta, senza preoccuparsi se ce ne fosse abbastanza per il resto dei commensali, ora gioisco festosa, allungando la lista dei “beni di prima necessità” da comprare e immaginando come sarà bello andare a fare la spesa l’indomani.
Con un po’ di fortuna, mentre aspetterò il mio turno per entrare nel supermercato, capiterò vicino a una persona espansiva, con cui potrò scambiare due chiacchiere a un metro di distanza. Parleremo sicuramente del virus, di quanto ci manca la vecchia vita e delle rispettive paure, poi ci saluteremo facendoci coraggio a vicenda e sorridendo dietro le mascherine soffocanti.
Mi piace la chiacchiera random, che nasce per caso e fa incrociare la nostra vita con quella degli estranei per qualche minuto, giusto il tempo di uno scambio di parole, che lasciano il tempo che trovano. I discorsi più profondi li facciamo con le persone a cui teniamo, ora purtroppo soltanto al telefono, che accorcia le distanze e cela lo sguardo, permettendoci di nascondere una malinconia molto più intensa di quella che esterniamo.
Ho provato anche io a fare un paio di videochiamate, visto che vanno tanto di moda, ma proprio non fanno per me: vedere la mia immagine sullo schermo mi imbarazza tantissimo e finisco con il parlare guardando me stessa, cercando disperatamente di sistemarmi i capelli e perdendo il filo del discorso.
Stare tanto tempo a casa fa bene alla pelle, che senza trucco respira meglio; fa bene ai capelli, che si riposano dalla piastra e fa bene ai piedi, perennemente adagiati in comode pantofole. Grazie al lockdown, il rischio di essere sorpresa in questo stato da una visita improvvisa è minimo ed evitando le videochiamate, il rischio è praticamente nullo.
Anche per questo accolgo il giorno della spesa settimanale con tanto entusiasmo: è un’occasione non solo per uscire di casa e constatare come sia bello tutto ciò di cui ci stiamo privando, ma anche per prendermi cura di me stessa.
Inoltre ho la fortuna di avere i genitori che abitano proprio accanto al supermercato e, per me, vederli sorridenti al balcone, è più rincuorante di qualsiasi cartello con su scritto che andrà tutto bene.
E’ un periodo molto duro per tutti, permeato dall’incertezza, che cerchiamo di dissipare ascoltando compulsivamente i notiziari e invece né i virologi né il comitato tecnico scientifico sono in grado di darci con esattezza la data in cui tutto questo finirà, per poterla segnare sul calendario.
Ogni sera, mentre politici e giornalisti litigano nei talk show, scelgo un film che possa distrarmi e rilassarmi per un paio di ore. Speranza vana: al primo stacco pubblicitario, fra gli spot di prodotti disinfettanti e connessioni internet veloci, parte la millesima replica dell’annuncio: “Resta a casa (fatto), lavati spesso le mani (fatto), evita contatti ravvicinati (fatto), programma la tua giornata in casa facendo attività fisica (fare) e mantenendo l’ambiente pulito (fare)”.
E così, i sensi di colpa per la panzetta incipiente e gli angoli polverosi che posseggo, prendono il sopravvento sulla trama poco avvincente del film e addio serata rilassata.
Siamo ancora nella fase uno, anche se credo sia agli sgoccioli, visto che molti negozi stanno riaprendo e non c’è più bisogno di gioire se manca qualcosa nella dispensa: i comprovati motivi/scuse per uscire cominciano ad abbondare. Siamo stati bravi, pazienti, resilienti e anche fortunati. La fase due ci troverà con la pelle luminosa, i capelli sani, i piedi riposati e la voglia di tornare alle nostre vecchie abitudini, con nuove consapevolezze e spero nuove opportunità, perché abbiamo tutti voglia e bisogno di ricominciare… non solo ad abbracciarci e bere caffè al bar.
gRaffa
Raffaella Di Girolamo
anche a papà e mamma fa piacere rivederti, anche se dal balcone di casa.
Tonino