La sigaretta del condannato

Non volevano diffondere la notizia, volevano chiudere in silenzio, senza clamore.

Ma 80 anni non passano via così. Fanno rumore e tanto. Come dimostrano gli oltre cento commenti postati su Facebook dai tanti che hanno accompagnato la notizia della chiusura del bar tabacchi Praesidium a Prezza.

Una storia iniziata con Dante Navarroli che nel dopo guerra decide di aprire un piccolo negozio di generi alimentari poi ampliato con un bar tabacchi. Un passato impossibile da dimenticare, come spiega Raffaello Navarroli, il secondo della famiglia a gestire l’attività insieme alla moglie Stella Di Ramio prima di passare il testimone alla figlia Antonella. Ultima titolare di un negozio entrato a far parte della storia di Prezza e dei suoi abitanti che con commozione ricordano i pomeriggi trascorsi al bar ad ascoltare “il mitico juke box” e a giocare a biliardo, per ritrovarsi per stare insieme.

Una storia nelle storie, quella del negozio della famiglia Navarroli, che ha segnato l’esistenza di chi a Prezza ci è nato e vissuto, di chi oggi ancora ci vive o, come molti altri, ha scelto di andare lontano. Senza mai dimenticare i flippers, il biliardino e quella pizza bianca con la mortadella che si andava a comprare da Stella, come scrive qualcuno su Facebook. Ricordi di chi negli anni Ottanta da Stella e Raffaello andava a leggere Cioè sognando sogni di adolescenti o a fare il tifo per la Juve contro il club rivale dell’Inter e che oggi ci ha lasciato un pezzo di cuore.

“Non potevamo andare avanti – dice Raffaello Navarroli – e non abbiamo trovato nessuno che volesse rilevare la licenza”. Una scelta obbligata, che al di là di situazioni personali, molto è dipesa dalle condizioni di un paese che, come lo stesso Raffaello ricorda, è passato da poco meno di 3mila abitanti degli anni Cinquanta agli attuali 850 all’anagrafe (ma molti meno, dicono, nella realtà), con poche possibilità di progettare il futuro. Una perdita importante per Prezza rimasta senza tabaccheria e dove ora è possibile comprare generi alimentari solo nella macelleria del paese. Ma soprattutto privata di un luogo dove le relazioni personali, i rapporti instaurati con la gente erano molto più importanti della merce sugli scaffali.

Oggi in paese di attività commerciali se ne contano tre in tutto: due macellerie, di cui una che vende anche generi alimentari, e il bar più piccolo della piazza, dove però non c’è la tabaccheria. Che anche farsi una sigaretta, “l’ora d’aria”, è diventato un problema.

Prima dei tabacchi, la scuola: quella chiusa, anzi non riaperta, a settembre scorso per mancanza di iscritti. Una “croce” in meno su un calendario che non promette nulla di buono per il futuro.

Un effetto, l’ennesimo, di quello spopolamento di cui tanto si parla, in particolare in questi giorni pre elettorali: tra bonus e incentivi, proposte di mezzi gratuiti, lavori e nuovi saperi, promesse di una vita migliore. Intanto, però, dalla montagna continuano a staccarsi pezzi di vita vissuta e speranze: come la storia dei Navarroli che oggi sono costretti a lasciare il testimone ad una saracinesca chiusa. Dietro la quale restano impressi solo ricordi, fin quando anche questi non svaniranno con la memoria di una comunità.

Elisa Pizzoferrato

8 Commenti su "La sigaretta del condannato"

  1. Un bellissimo ricordo | 3 Marzo 2024 at 10:43 | Rispondi

    Leggere questo articolo ci riporta indietro negli anni, quando da piccoli si andava a Prezza dai nonni dopo la chiusura delle scuole. In un paese vivo, cordiale e genuino. Ricordo con piacere il negozio sempre pieno di gente offriva ogni genere di prodotto. Anche Antonella che è cresciuta tra quelle mura, dietro quel bancone ha cercato di portare avanti una tradizione. Il tempo passa ma non i ricordi.

  2. Una delle tante storie dei piccoli e non centri dell’entroterra destinati a soccombere per una disattenta politica regionale.
    Prezzani e abruzzesi il 10 marzo riflettete anche su questo accadimento… 80 anni “letteralmente” fumati e svaniti nel nulla… È UN PECCATO!

    • Va bene, abbiamo capito, voteremo sicuramente al contrario di come la pensi, così ogni giorno e per altri 5 anni continuerai a prendere una pasticca di Malox.

      • Nostradamus, ma se le “profezie” non le azzecchi sui medicinali che già utilizzi, come puoi sapere chi voto?
        “Forse” cambierai idea, politico, medico e prescrizione, passando dal Mal”O”x al Maaolox, per poi provare tutte le specialità della ditta farmaceutica e in regime di cronicità.

  3. I poveri eschimesi | 3 Marzo 2024 at 16:08 | Rispondi

    I problemi sono quelli, ormai noti da tempo : giovani costretti ad andare via, per studiare, poi per lavorare, pochi i residui abitanti, in gran parte anziani.
    A cascata le carenze che si affrontano ogni giorno: nei trasporti, nella sanità, nelle offerte per lo svago, per il tempo libero, per la cultura…
    “Non conviene offrire servizi” è la risposta ricevuta da tempo dalle istituzioni.
    Il lavoro non è un diritto di tutti, ma il favore del politico in cambio di voti.
    Ultimamente anche il diritto a una sanità decente, sembra essere destinato ad avvitarsi sulle stesse incredibili dinamiche…
    Più che un diritto garantito e uguale per tutti sta diventando il favore del politico di turno…
    Insomma si torna indietro, invece di guardare avanti.
    Ma improvvisamente, queste problematiche ormai sedimentate e ignorate da anni, sono diventate il primo pensiero dei politici, abbiamo conquistato la ribalta, i giornali, i programmi delle TV locali e nazionali , gli stessi problemi, sconosciuti e ignorati fino a ieri sono magicamente diventati un assillo di tanti politici a livello regionale e nazionale : e via le passerelle: ma quanto sono importanti queste aree interne!
    Nei fatti: a questa regione porterà vantaggio l’autonomia differenziata, nella scuola, nella sanità?
    Oltre la cortina di nebbia e fumo della propaganda, mai così spessa come negli ultimi tempi, informandosi su organismi indipendenti sembra proprio di no.
    Senza contare che nel 2024 ci sono ancora esponenti di un partito, che si lamentano perché ” a nord aumentano i pagamenti nei caselli autostradali per pagare le infrastrutture in zone dove cos’è un casello autostradale non lo sanno e se lo fai gli danno fuoco la notte” (sic!)
    Ma almeno viva la sincerità, oltre la strabordante ipocrisia a cui siamo costretti ad assistere in questi giorni.
    Forse per cercare di risolvere i problemi si dovrebbe pensare e attuare una diversa forma di rappresentanza per queste aree a livello regionale, altrimenti continueranno ad essere schiacciate dalle solite logiche opportunistiche e clientelari.
    Dopo le elezioni ci sarebbero tante cose da fare o meglio, da voler fare.
    Soprattutto per una volta, non continuare ad essere trattati più, come gli ingenui eschimesi di fronte al furbo imbonitore che racconta per l’ennesima volta, quanto sarà efficace e utile in futuro il frigorifero che ci vuol vendere.
    Meglio fermarsi e guardarsi intorno.

  4. Attila Flagello De Dios | 3 Marzo 2024 at 18:12 | Rispondi

    L’Italia è il Paese dei comuni, soprattutto di piccole dimensioni,un grande patrimonio che rappresenta un’indubbia ricchezza per il Paese e una risorsa strategica per la gestione del territorio e dei
    servizi.E’ nei comuni di piccole e medie dimensioni che si ritrovano non solo gran parte delle radici storiche, artistiche e culturali del Paese, ma anche le specificità, le peculiarità e le qualità che hanno contribuito a rendere famoso il made in Italy nel mondo e hanno costituito un terreno fertile per la crescita economica e sociale del Paese.
    Non si deve, dunque, guardare ai nostri centri storici e ai nostri borghi come a dei luoghi chiusi e circoscritti ma come a territori densi di risorse ambientali, paesaggistiche e insediative da rilanciare e valorizzare. Perché è dall’incontro di conoscenze e tradizioni, proprie di questi luoghi, che si possono sviluppare economie ad alto valore aggiunto capaci di creare maggior benessere e di utilizzare minori risorse.
    Per questo motivo serve un impegno e uno sforzo collettivo ancora maggiore da parte di tutti i soggetti – istituzioni, enti locali, cittadini, imprese, perché questi territori e queste identità vengano preservati e non vadano persi per sempre.
    Il commercio e, in un’accezione più ampia, il terziario sono, infatti, parte stessa del tessuto sociale dei centri urbani, sono linfa vitale per le relazioni sociali, economiche e culturali dei territori.
    Non a caso, nelle poleis greche il luogo di riunione per eccellenza, l’agorà, era in prima battuta un luogo di mercato, a significare che le attività commerciali già in quell’epoca svolgevano una funzione civile e collettiva non separabile dalla città.

    Il commercio, anche quando si organizza in appositi edifici, tende a ricreare le due forme principali di organizzazione urbana, la strada e la piazza, riproponendo i ritmi e le situazione del tessuto urbano.

    Laddove, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, si è innescato un processo di marginalizzazione e di allontanamento del commercio tradizionale dai centri storici e dai loro dintorni, per via della notevole crescita di grandi strutture distributive in aree periferiche o extra-urbane, si è spesso registrata una perdita di altre funzioni cittadine, in primis quella residenziale, e si è facilitato un percorso che inesorabilmente conduce al declino sociale ed economico.
    La tutela di questi luoghi non può, quindi, prescindere dall’esigenza di costruire spazi e funzioni dove gli uomini possano vivere armonicamente.
    Sono, pertanto, necessari programmi e progetti integrati che sappiano affrontare la salvaguardia e il rilancio dei centri urbani e che sappiano promuovere l’equilibrio tra le diverse tipologie di vendita e di funzioni urbane.
    In questo contesto molto possono fare anche le organizzazioni di categoria:mi riferisco, in particolare, alle azioni per la riqualificazione di strade storiche per lo shopping, per la creazione di itinerari turistico commerciali e a “percorsi d’acquisto” nei centri urbani, per la valorizzazione delle botteghe storiche.
    Servono, infatti, politiche infrastrutturali non più rinviabili che sappiano coniugare le necessità del commercio, del turismo e dei servizi, e in grado di attivare processi virtuosi.
    Magnifici o disarmonici che appaiano, i nostri centri storici e piccoli borghi sono, pertanto, il teatro della nostra storia, dei nostri usi e costumi, delle nostre tradizioni e in quanto tali rappresentano un insieme di valori socio-economico-culturali che non possiamo ignorare e di cui non dobbiamo privarci”.

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