La Matrioska Quantica

I greci l’avevano intuito centinaia di anni fa.

Siamo fatti di particelle elementari invisibili e indivisibili che si aggregano, spinte e respinte da un’energia dall’essenza misteriosa.

Quando ci è arrivata anche la Scienza ha aggiunto che quegli atomi non sono indivisibili ma costituiti a loro volta da particelle queste si elementari, tanto piccole da nuotare in un vuoto immenso, rispetto alla loro dimensione. Quel vuoto (o dovremmo dire questo) alla nostra scala è solo il microscopico nucleo di uno di quei milioni di atomi di cui siamo fatti; noi come le montagne, il mare, i pianeti e l’universo tutto.

Siamo come matrioske, dall’infinito macro di cui non afferriamo l’estensione (e pare non sia nemmeno uno solo), fino al microscopico indivisibile sperduto nell’atomo; dentro la matrioska, altre matrioske altrettanto vuote. In questa poetica assenza di qualunque cosa, fluisce solo energia; grazie a quelle cacchette senza massa che vibrano in un’incessante epilessia, emettendo un suono dalle frequenze inudibili ma che attraversano noi, come ogni cosa, modificandola.

Non c’è niente in noi e attorno a noi se non un grande utero zeppo di vuoto e di microscopiche particelle elettriche che risuonano vibrando, si attraggono e respingono, aggregandosi in molecole per riprodurre la realtà che appare ai nostri sensi ogni mattina.

Piccole e diaboliche, esistono e non esistono contemporaneamente in stati diversi. Ci sono solo quando le guardi, se no, come a nascondino, se non le tani, vattelapesca se ci stanno. E sono connesse alcune fra loro da ragioni e forze inspiegabili, tanto da reagire allo stesso modo a una stessa sollecitazione,  anche se distanti fra loro nel tempo e nello spazio. Sembrerebbero comunicare ma è un mistero come facciano, almeno per noi, che pensavamo di essere dei della comunicazione solo perché abbiamo un alfabeto.

La risposta parrebbe, come per le matrioske, solo una questione di scala, dalla maggiore alla minore.

Una zanzara, (che fra le matrioske è ancora considerata macro mondo, per quanto costituito dalle stesse nostre matrioskine), vive nel nostro tempo ma in un universo parallelo che, ai suoi recettori, al nostro non somiglia nemmeno un po’.

Il suo è limitato all’infinito mare della pozzanghera che abita, all’ossessivo stragrande matrix della zanzariera in cui si infila per raggiungere noi, giganti a macchie di colori a noi invisibili, zuppi di energia sanguinolenta caricata all’opposto, da colpire mentre ci atteggiamo allo specchio a nascondere i segni del tempo che contiamo a modo tutto nostro.

Possiamo continuare all’infinito a ridiscendere e risalire i livelli di scala di ogni matrioska, dal vuoto dell’atomo costellato di particelle al buio del nulla costellato di stelle: ad ogni livello troveremmo un universo nello stesso tempo e nello stesso spazio, ma che percepisce unicamente chi lo abita. Mentre quell’abitante non può avere percezione, magari solo immaginazione, degli altri universi, sta dentro il suo e non riesce a tirarsene per guardare il fuori da fuori. Nella caverna che percepisce, dove ogni cosa risponde alla sua logica e alle sue leggi che ha inventato per decodificare la sua realtà, la sua visuale è monca. Parcellizzata, ridotta a uova di zanzara.

Ora, in tutto questo caos anarchico eppure così maniacalmente ossessivo come fosse l’armadio di un/a Vergine, cosa può o deve questo pulviscolo di materia allevata a antropocentrismo e superbia e che oggi si ritrova a guardare inebetito le serie netflix sugli universi paralleli?

Davvero il suo destino è solo questo inutile e stancante vibrare di nevrosi da vuoto competitivo o può darsi pace abbandonandosi alla frequenza ristoratrice di quei puntini vibranti nell’utero vuoto della Grande Matrioska?  

Antonio Pizzola

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