Appartengo alla categoria dei migranti, pendolante già da tenero terrone fra il sonnolento borgo uterino dall’invalicabile orizzonte appenninico e la capitale di zucchero dagli orizzonti multipli, vibrante al tempo della mia adolescenza di edonistica voglia anniottanta.
Ho mantenuto a lungo la schizofrenia dei due universi-me paralleli, l’Andò della piazza natia del primo cuore che però, come una mamma-agente del kgb, sapeva sempre di chi sci lu fij tu e l’Anto della rutilante giostra delle libertà che ti risucchia nel vortice degli stimoli, fregandosene però di te, come dei milioni di tuoi simili passati su quella stessa giostra, eccitati e spaventati da tanta solitudine.
Questa dicotomia un provinciale migrante se la porta dietro a vita, irrisolta fino alla vecchiaia, o almeno fino a folgorazione buddista, quando il parallelismo dei tanti universi vissuti si risolve all’armonia del ricongiungimento.
Il Tempo genera così due categorie di migranti, i Ritornanti che cedono al desiderio di ricongiungimento e i Definitivi, che hanno trovato in un qualche altrove la dimensione in cui riconoscersi.
Sarebbero tornati forse ad abitare il luogo di origine se avessero avuto maggiori occasioni di accrescimento economico o anche culturale? E’ stato davvero solo il lavoro che mancava, o la carenza di occasioni di svago a farli migrare e non forse la spinta ancestrale dell’Ulisse dantesco che si agita in ciascuno di noi?
Quel che è certo è che chi migra -o scappa- dal paese in cui è nato non lo fa con la leggerezza di un trasloco di ufficio, non risponde alle ragioni semplicistiche e secche di una tabella istat sul calo demografico, perchè investe in scelte continue l’intera vita, trascinando dietro bisogni, storie e destini e a volte sacrifici o drammi difficili da catalogare in una statistica.
Che può farci una povera giunta locale che sul programma elettorale si era fatto bella al punto 5: il ripopolamento delle aree interne: idee progetti per limitare la fuga giovanile?
Poco o niente. Non ha le competenze, le risorse, il raggio di azione, la visione, le strategie e soprattutto il tempo di una legislatura quando regge, per affrontare una tematica così complessa e cosi costantemente in evoluzione, alla mercé come è delle dinamiche sociali ed economiche planetarie che nel piccolo borgo natio rimbalzano come lontane e strumentali narrazioni mediatiche.
Ogni anno il mondo si trasforma sempre più rapidamente, le ragioni e i comportamenti dei giovani dei miei tempi non sono più distintive delle nuove generazioni, non è più uguale la provincia, depauperata e invecchiata, non è più così attrattiva la metropoli, sempre più prodotto di marketing di turismo di massa e meno come crogiolo di stimoli, esperienze e istanze internazionali.
Forse il punto non è come impedire che i figli se ne vadano, che anzi da che è mondo è auspicabile vadano ad esplorare l’orizzonte oltre l’ermo colle che ne occlude la vista, quanto come far in modo che possano tornare, riportando le esperienze e le competenze acquisite ad arricchire il patrimonio del territorio .
Rendere attrattiva la propria casa non significa imbellettarla di servizi accessori che si suppone un figlio possa desiderare, perché quel desiderio è dei genitori un tempo giovani, maturato in una vita spesa a chiedere ai solito potere incollato alle poltrone la carità di una concessione, più che conquistarsela.
Riflettere sinceramente sulle ragioni per cui chi è stato una giovane risorsa è definitivamente perso al patrimonio cittadino per il vezzo di incensare a cose fatte chi è riuscito altrove lamentandosi di non averlo saputo trattenere in patria e contemporaneamente non fare nulla per lasciare un angoletto di poltrona decisionale a qualche promettente competenza in cerca di spazi di espressione e sviluppo.
Come si fa a limitare l’emorragia di risorse che rende i territori periferici, non solo il nostro, malinconici ospizi, vivi si e no un mese l’anno quando arrivano i turisti?
Come si inverte il destino di declino che si prospetta all’orizzonte, davvero basta riattivare un cinema, un’associazione culturale o un corso di laurea?
Forse la risposta è semplicemente chiedere ai giovani che città vorrebbero i giovani per restare o tornare a viverci, offrendo loro solo le condizioni più favorevoli, e non i pacchetti pronti, per realizzarla.
Forse è solo tempo che la città diventi la città di chi è vocato a costruirsela e non di chi non è riuscito a farlo quando era il suo momento, come è ancestralmente naturale se non ovvio da che mondo è mondo, nei secoli dei secoli.
Antonio Pizzola
(foto di copertina di Marco Massaro)
In una cittadina dove i giovani ( che ora si sentono così fino a 47 anni ) già mortificati per la
Loro condizione di precari …..vengono anche umiliati a fare da comparse ai comizi elettorali per pavoneggiare il candidato di turno che dalla misera sua posizione sembra un gigante per chi pensa che farsi vedere tra le sue fila possa migliorare le sorti del proprio futuro e invece può solo peggiorarle !
In una cittadina dove ormai poco sono i liberi dai condizionamenti esterni cosa vi aspettate ?
Basta aprire i solcai per vedere il degrado in cui siamo piombati ….gente che si fa i selfie con politici e aspiranti consiglieri di cui non conoscono nulla e pensano siano loro amici solo perche questi ultimi gli lasciano credere che lo saranno se eletti !
Svegliatevi sennò la colpa è pure là vostra cari giovani ….il voto non mortificatelo !
Votate chi vi sembra il più onesto non il più furbo …..perché ricordate che se le vecchie volpi vengono elette vuol dire che i polli siete voi !
E ora andate al comizio a farvi vedere dal vostro volpone preferito ….chiunque esso sia!