Jubilate Roma

Da cosa lo intuisca non si sa -che spesso mi scambiano per arabo- ma mi si è rivolto da subito in italiano, offrendomi uno dei variopinti foulard giubilari dal borsone a tracolla, di quelli in dotazione ai vucumprà in spiaggia, (come li ha battezzati Roma, col cinismo arrogante di chi si sente ancora imperiale con gli schiavi sbarcati dalle colonie).

Tante le mani che si è vista tendere l’Urbe nei secoli, tante rimaste a caritare all’ombra der Cupolone, ma anche tante generosamente riempite di ori e incensi, sempre comunque passeggeri come il transito terreno; altrettante invece le hanno elargito carità a riempire i forzieri giubilari e costruire la sua storia magnifica: chiese, palazzi, piazze, statue, fontane e quel sublime colonnato barocco aperto ai pellegrini in un misericordioso abbraccio Urbe et Orbi.

Peccato che di meravigliosi abbracci giubilari Roma non ne elargisca più da tempo, da quando il potere divino del suo Enclave di Reggenza nei secoli dei secoli amen s’è annebbiato sotto l’assedio del Relativismo novecentesco, del Multiculturalismo e dalla conclamazione di supremazia della Scienza, il cui simbolo in pvb sterile dispensa purificazioni igieniche al posto delle benedizioni dalle acquasantiere marmoree ormai secche. La Città Eterna sembra così caduta nel dubbio di quanto duri la sua eternità, se anche questo tempo sia l’ennesimo che l’attraversa senza scalfirla o se invece anche Roma, come tutte le cose terrene, declini nel suo tramonto friccicarello di ponentino.

Recepito il mio ennesimo rifiuto, l’ambulante dei foulard decide di concedersi una pausa. Mi offre una sigaretta, come faceva Roma quando, viziosa e puzzolente ancora fumava sigarette e, poggiando a terra la tracolla tintinnante di ricariche per i selfie turistici cor Cupolone, condivide con me un attimo di sconforto. Senza disperazione, però, che nei suoi occhi di ventenne il mondo non è più nero come la terra da cui viene ma carico di promesse, come questo borsone zeppo di foulard che è il suo tesoro.

In fondo vendere per le sante casse è una fortuna, dice, pure se è musulmano (che tanto Dio è Uno, nonostante i diversi nomi), servirLo è il suo dovere. Meglio certo di spacciare, come gli hanno offerto ancora fresco di sbarco, droghe o scarpe taroccate -fornite dai retrobottega del Mercato per fare business pure sul lusso ai poveri- con l’ansia di riavvolgere il lenzuolo alla prima sirena di pantere e gazzelle, che qui sono in lamiera.

All’ombra der Cupolone, almeno, le guardie si voltano altrove, impazienti parrebbero di mantenere l’ordine delle folle che verranno, che scaricheranno in processioni dietro la croce in legno del pocket giubilare consegnatogli sul pulmann, filtreranno in fila indiana ai metal detector sotto il Colonnato, affideranno allo zelo volontario e sorridente delle tshirt gialle, scarpette Nike e badge al collo Giubileo 2025, per finire incanalati nei percorsi transennati in legno a croce di sant’andrea, come nel Far West le mandrie prima del rodeo.

Roma non abbraccia più i suoi fedeli, li conta, li perquisisce, li schicchera come bigliette di vetro nel tour all inclusive, giro della basilica, sacrestia-bookshop per santino ricordino, per ricaricarli infine sui pulmann scappellati della Roma Experience, fontanaditrevi, piazzanavona, bucatiniallamatriciana e gelatoatrastevere.

Come ogni giubileo Roma si è rimbellettata le facciate e rinzeppata di camere e ristori, a questo turno però per pellegrini a 5 stelle, con le gricie a venti sacchi, i beb a ogni portone mai meno d’un paio de piotte a notte e con i biglietti per il Grande Circo montato con meticolosità sassone dalla potenza organizzatrice temporale, stampellata alla romanella dalla debacle comunale, miracolata a pioggia dalla manna del Pnnr.

Roma non è mai stata accogliente con lo straniero, né tanto meno razzista: è indifferente, a chiunque che prima o poi questuerà alle sue porte sante, quando si rivelerà accattona a lucrare su quella questua benedetta.

L’ambulante abusivo si chiama Ndeje, poco più che ventenne, viene dal Senegal. A lui tocca per sorte farsi formichina fra le formichine di ogni colore che popolano gli interstizi capitolini, i sacchiapelo sulle griglie di areazione, i materassi sui lastrici e negli scantinati bonificati, i retro cucina delle trattorie America’facceTarzan, le graminacee dalle spaccature di asfalto. E i monopattini sfreccianti per le mancette del Delivery Globale, sostenibile per i clienti che non si spostano da casa, spietato con le formichine che ce lo consegnano a 50 cent si e no.

Il foulard di Ndeje costa 10 euro, (che lascia immaginare quanto pagheranno un ombrellino agli angelus di luglio): a lui clandestino venditore, mi confessa con un attimo di esitazione guardinga – che in fondo vatti a fidare di ‘sto immigrato abruzzese che si spaccia per romanus– se ne vende una decina, gli danno quasi due euro.

Con quel quasi, se non altro, che inquieta, chè Roma quanto promette poi si riprende con gli interessi. Come il marito di Lella, Er Cravattaro che ci aveva er negozio giù ar Tritone.

Antonio Pizzola

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