All’inizio, correva l’anno 1980, era Don Cesare, il “prete giovane”, poi fu la volta di Don Nicola il “prete missionario” (oggi in Liberia) e poi ancora del mitico Giorgio, che lui il Don non lo voleva davanti, quindi Don Ezio e via via fino a Don Giovanni, l’ultimo dei Salesiani (arrivato un anno e mezzo fa) a cui spetterà il prossimo settembre consegnare le chiavi della chiesa, dell’oratorio, dei campi sportivi e della palazzina annessa al plesso, nelle mani del vescovo Michele Fusco.
La decisione dei Salesiani di abbandonare Sulmona è per la città e il territorio un’amara condanna e allo stesso tempo la definitiva presa di coscienza di essere diventati un paese, una periferia qualsiasi tra i monti dell’Appennino.
Che certo, come spiega Don Giovanni Molinari, l’ultimo direttore dell’opera Salesiana di Sulmona e parroco di Cristo Re, “molto dipende dalla crisi delle vocazioni – commenta – negli ultimi dieci anni abbiamo perso almeno centocinquanta sacerdoti e noi ci stiamo facendo anziani, non ce la facciamo più. A Sulmona ad esempio siamo rimasti in tre e un pugno di collaboratori”.
Mancano, anche e soprattutto, i giovani: “Neanche trenta in media al giorno, oggi, a frequentare l’oratorio – continua Don Giovanni – e quelli che crescono vanno via e non ritornano. Sulmona la ricordavo come una città spumeggiante, ma quello che ho trovato venendo, a distanza di dieci anni, è tutt’altro: una continua desertificazione”.
I numeri dei tempi d’oro della chiesa di cemento, con quella forma moderna costruita a metà degli anni Settanta da Carlo Mercuri nel mezzo del nulla o quasi, prima che ci fosse il Peep e tutto il resto, sono lontani.
Lontani come i ricordi delle migliaia di bambini diventati adulti che in quegli spazi sono cresciuti, giocando e suonando, sperimentando e tenendosi per mano. Nelle prime gite da soli a Ussita, o nei primi campi scout, o solo a trascorrere i pomeriggi negli “scantinati” dell’oratorio o nei campi sportivi, i primi in assoluto, che circondano la struttura.
Al di là del valore religioso, l’oratorio di Cristo Re ha rappresentato in questi quaranta anni un importante e spesso unico riferimento di aggregazione sociale: qui nacque la prima sala prove per la musica, il primo campo di volley e di basket all’aperto (mentre dalla tv risuonavano le telecronache di Dan Peterson e montava il mito dell’America), il primo playground e i tornei estivi di basket a cui partecipavano squadre di tutto Abruzzo, da qui nacque il Cipa (centro informazione prima accoglienza) poi diventato comunità di recupero per tossicodipendenti, qui si animarono le prime rassegne rock di band giovanili, e le polisportive, e gli scout dell’Agesci, fino ai campi estivi del Grest.
Quello che va via da Sulmona non è solo un presidio della parola di Don Bosco, ma un avamposto di accoglienza e aggregazione che ha supplito alla carenza di spazi dedicati ai giovani, spesso con una modernità non comune alla Chiesa, perché i Salesiani ci tenevano a marcare la differenza, la loro capacità di dialogare con i giovani.
I tempi cambiano e le aree interne si spopolano: i Salesiani resteranno in Abruzzo solo all’Aquila e a Vasto. Mentre a Sulmona, intorno alla chiesa in cemento, resteranno i ricordi di una comunità dispersa.
Senza parole…..solo tristezza, tristezza, tristezza e ancora tristezza ancora tristezza….in un modo e nell’altro facciamo in modo di non perdere la strada che ci hanno mostrato, la chiesa rimane facciamo in modo che gli spazi continuano a vivere per noi….e per loro.