L’ultima volta lo incontrammo il 10 marzo scorso davanti al seggio delle scuole Capograssi: Raffaele Di Pietro, ci disse, non aveva mai disertato le urne. Che il diritto al voto, l’ultimo partigiano sulmonese della Brigata Maiella, morto ieri a 99 anni, se l’era conquistato sul campo. Combattendo e rimanendo ferito. Andare a timbrare la scheda elettorale era una sorta di rito irrinunciabile per lui, una forma di rispetto alla sua e alla vita dei compagni che aveva visto morire sotto i suoi occhi durante l’arretramento di Belvedere di Monticchio. “Noi patrioti” diceva, per smarcarsi, lui democristiano e poi di centrodestra (Udc), dai fazzoletti rossi dei compagni di Bella Ciao, senza però rinnegarli e distinguerli. Perché don Raffaele aveva il senso della comunità, prima che quello dell’appartenenza partitica.
Uomini d’altri tempi, quando a riempire le liste elettorali c’erano sogni e progetti, ambizioni di costruire un mondo migliore. Non guerre tra bande o ricerca del potere fine a sé stesso o peggio agli affari.
Ieri don Raffaele non ha fatto a tempo ad assistere all’ennesima fine dell’esperienza amministrativa nella sua città, veder fallire l’ennesimo progetto di comunità, veder arretrare la politica nonostante le difficili sfide che si prospettano.
Ha chiuso gli occhi e riposto la scheda elettorale nel cassetto.
Toccherà ai posteri ridare dignità al voto, a quel diritto che Raffaele e tanti altri hanno conquistato sul campo, rischiando e rimettendoci la vita.
Basterebbe questo per non trattare la consultazione elettorale come una lista della spesa al supermercato, come un giro di giostra dovuto e concesso alla qualunque. Una lezione che Sulmona fa fatica a imparare: con gli eserciti di candidati che ad ogni tornata si presentano alla carica non per convinzione e spesso neanche con cognizione, ma solo perché chiamati a fare incetta di amici e parenti. Con il risultato che alla politica si sostituisce il gioco delle parti, il miglior offerente. L’instabilità, padrona e predona degli ultimi venticinque anni.
La città non può non ripartire da questa considerazione, dalla necessità di individuare, ciascuno per la sua parte, una classe dirigente consapevole e capace, che condivida da subito progetti e idee e come raggiungerli. Fosse anche necessario rinunciare a qualche lista e qualche voto di zii e parenti: utili a riempire le urne e a svuotarle di senso.
Caro Raffaele, ti sono enormemente grato per quanto hai fatto e per quello che ci hai lasciato in eredità. Per onorare i tuoi sacrifici e le sofferenze che hai dovuto sopportare tu e tutti i partigiani, sarebbe giusto recarsi alle urne e esprimere il proprio voto, ma oggi le cose sono cambiate, cambiate in peggio. Alla fine degli anni 40 del secolo scorso era appena finita una guerra, si doveva ricominciare da zero e ci si rimboccava le maniche per ricostruire un futuro. Oggi, quel futuro che è stato ricostruito, si tende a conservarlo, equo e giusto o iniquo e ingiusto che sia. E purtroppo sono proprio questi ultimi due stati che si tendono a preservare con più tenacia. Stanco di questa situazione, purtroppo sono stufo di votare e perciò non lo farò più. Ringraziandoti ancora e chiedendoti scusa per tale viltà, spero tu voglia perdonarmi.
Con stima
Queste sono le Persone che fecero grande l’Italia!
Ora abbiamo solo il ploriferare di una manica di aspiranti politicanti senza onore e senza lode che sanno solo postare le foto su Facebook !
Un pezzo della nostra storia che ahimè ci lascia. Un esempio purtroppo vanificato dall’ignoranza travestita da saccenza dei tempi moderni. Un uomo che si è battuto per la libertà contro un regime che oggi viene osannato o quanto meno rivalutato o edulcorato da una pletora di analfabeti funzionali e non . Che tristezza verrebbe da pensare che il tutto sia stato inutile.