Il Tempo di Mariuccia

Nella scarsa propensione da cinismo abruzzese ai sentamentalismi, Mariuccia, Mariuccia era la favoletta di paura della mia infanzia. In confronto Stephen King è Walt Disney, It il pagliaccio un cinepanettone, The Ring una tisana alla camomilla.

Narrava della piccola Mariuccia, sola nella sua cameretta, insediata dal Mommone – una sorta di mostruoso licantropo penetrato furtivamente nella casa- che la chiamava dal piano inferiore, ai piedi della scala. L’avvisava della sorte che stava per compiersi, aggiornandola ad ogni gradino dell’avanzamento dei suoi passi:

Mariuccia, Mariuccia … stieng alla prima scala. 

Mariuccia Mariuccia… stieng alla seconda scala, e così via, gradino su gradino, lungo l’inquietante scaletta che sembrava avvitarsi su se stessa come in un disegno di Escher.

Mariuccia intanto, tremante sotto le coperte – sola per chissà quale contrappasso da marachella -, riusciva a replicare ad ogni chiamata solo un supplichevole e sconfortato Oddìmamm, Oddìmamm.

Depurata da ogni orpello fantasy, la favola della nonna si riduceva all’essenziale cantilena fra i due protagonisti: il Mariuccia Mariuccia del predatore contrapposto all’ Oddimamm Oddimamm della vittima, in una sorta di blues nero di bassi in battere sui gradini e falsetti in levare dalla cameretta.

Poteva andare avanti in loop ad libitum come in un Teletabis orror, a seconda del tempo che la nonna poteva dedicare alla conta dei gradini, e alla gravità della marachella che voleva indurmi ad espiare. Montava così, con perizia di nonna, l’ansia dell’approssimarsi del mostro per risolversi solo quando, guadagnata la porta e sfondatala a spallate, il Mommone entrava a strozzare l’ultimo Oddimamm della povera Mariuccia, divorandola in un sol boccone.

Nessuna possibilità di scampo, o finale catartico di redenzione, niente pancia di lupo scuoiata per farne risorgere Cappuccetto Rosso, nessun ventre di balena che risputasse Pinocchio o esorcista che vomitasse il demonio: il destino di Mariuccia, come quello di ogni abruzzese, era spietato, obbligato e senza alternativa.

Unica consolazione, la certezza che la sera successiva si sarebbe ripetuto il medesimo clichet, il blues della cantilena, la scala infinita, la cameretta da incubo e la chiosa dell’orribil pasto.

 

Nell’ipertesto si leggeva la punizione che il destino impartiva alla bambina, evidentemente macchiatasi di colpe gravi, pari alla mia disubbidienza alle prescrizioni dei parenti adulti. Ovviamente qualunque bambino avrebbe dato un mignolo per evitare alla povera Mariuccia quell’incubo così come sarebbe stato disposto a qualsiasi fioretto pur di svangare il rischio dell’incontro con il nero Mommone.

Per questo la favoletta orror senza redenzione funzionava: stremato dalla conta dei gradini, crollavo in un sonno popolato da incubi, promettendo a me stesso e al prossimo che non sarei mai più ricascato nell’errore della marachella.

Chi è cresciuto fianco a fianco con Mariuccia, partecipe del suo incubo reiterato, sa bene che la paura, allora come oggi, fa sempre 90, il numero più alto della tombola.

Per questo avverte puzza di bruciato quando si sente bombardato da ansie indotte, in una fase storica che non esiteremmo a definire il Tempo di Mariuccia.

La paura primigenia, primo gradino di una scalinata che sembra non avere fine, è stata la crisi.  Da lì fu una discesa vorticosa nella scala infernale di Mariuccia, dominata dall’incertezza del futuro e dal terrore condiviso che solo pochi gradini ancora e il Mommone di turno avrebbe spallato la porta della nostra quotidianità per porre fine alle nostre ansie.

Avrebbe forse assunto le sembianze di un parametro europeo che contava i debiti che non eravamo in grado di restituire. O di uno straniero, terrorista islamico autoesplodente in un qualunque momento della nostra quotidianità, di un profugo affamato che approdava a rubarci casa e lavoro o solo a portarci virus di terre lontane,  con uno starnuto, una sfiorata di mano, un peccaminoso scambio di saliva. Come ai tempi dell’aviaria, chi se la ricorda? La malattia dei polli, poi delle mucche pazze, delle influenze spagnole e malariche, l’aids delle scimmie e dei disordini morali, dei vaccini mancati, tutte risolte, dopo la quotidiana conta delle vittime, da un provvidenziale velo di silenzio mediatico.

Quando non è la Politica è la Cronaca a contare i funesti scalini della violenza domestica, dei killer condominiali e familiari, dei suicidi dei disperati che non ce l’hanno fatta. Perfino la meteorologia è diventata incubo di Mariuccia, coi suoi disastri annunciati ad ogni cambio di stagione, diluvi da Noè ad ogni temporale, freddi artici e caldi tropicali, oppure catastrofi epocali che la Natura oltraggiata cala come una mannaia sull’umanità a chiudere il cerchio.

A certificare il rischio imminente, arrivano le statistiche. Definitive come il destino di Mariuccia, il Pil, la Disoccupazione, l’Immigrazione, l’Emigrazione, la Scarsità di Risorse, la Fuga dei Cervelli, la Guerra imminente, la Tempesta Solare, la Profezia di un oroscopo o di un oracolo.

Perfino l’ansia di prestazione di un povero maschio adulto, già provata da stress motivazionale collettivo, si ingigantisce del rischio di una cilecca che non potrebbe nemmeno garantire gli 80 euro di bonus, regalo dal governo a un popolo che – allarme generale – ha smesso di perpretarsi.

 

Certo le vittime ci sono, la miseria avanza, la Terra trema, il clima cambia, la natalità decresce e la tensione cresce. Ma Mariuccia, nostro angelo custode, ci ricorda che la Paura fa 90 a chi la amministra e sa come dirigerla a proprio favore, come sempre è accaduto nella storia dei peggiori regimi o nei più edulcorati momenti di tregua apparente da guerre fredde e autunni caldi.

Ogni volta che è servito, un Mommone famelico ha preteso sacrifici, come gli dei vendicatori epici e biblici che oggi danno il nome alle perturbazioni metereologiche.

Così, isolati e messi l’uno contro l’altro in una delle tante guerre fra poveri, i sudditi hanno dovuto sopportare coprifuochi e leggi speciali per essere spennati di tasse urgenti e diritti negati, sotto il silenzio spaventato dei più, nascosti come tante Mariucce sotto le coperte a sperare di scamparla.

A dimostrare che se di una cosa è sano avere paura da che è mondo, parafrasando un antico adagio, tira più un pelo dell’Industria della Paura che un carro di buoi.

 

Antonio Pizzola

 

2 Commenti su "Il Tempo di Mariuccia"

  1. …per fortuna mia nonna non conosceva questa tiritera: era solo indecisa se appiopparmi alla befana per una settimana o all’uomo nero per ben un anno intero😌
    Per il resto hai ragione…ci mancavano solo le fake news e la gente che le legge per seminare ulteriore panico.
    Ciao Antonio🙋

  2. Beata te, cresciuta felice nel mondo della Befana e di un innocuo omino nero che si limitava e tenerci un annetto. Ecco perché sei venuta fuori ottimista, con una speranza di redenzione. Grande Raff

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