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L’ambientazione è quella giusta: ai confini tra l’aldiquà e l’aldilà: sul cancello di servizio, trasformato in ingresso principale, del cimitero del Comune di Sulmona. Un Purgatorio, insomma, nei luoghi e nei fatti, soprattutto per chi, come Catone l’Uticense, custodisce l’ingresso, non per volontà divina, né di Dante Alighieri, quanto perché qui è costretto a lavorare.
Da quasi un mese e mezzo i due custodi del Camposanto peligno hanno dovuto attrezzare il loro ufficio in auto: registri e timbri nel cruscotto e la penna nel portaoggetti. Quando c’è il sole ci si azzarda a ricevere gli utenti all’aperto, se piove le firme si mettono sul lato passeggeri di una Lancia Musa del 2006. Con i documenti portati di soppiatto nel vecchio ufficio inagibile.
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Da un paio di giorni, in verità, oltre al container per l’ufficio di emergenza, è arrivato anche quello che dovrebbe sostituire l’obitorio: entrambi spazi negati dall’11 gennaio scorso, quando un pezzo di cartongesso rovinò sulla scrivania degli addetti, costringendo vigili del fuoco e Comune a mettere transenne e nastri rossi. Tutto interdetto, a lungo termine, si scoprì subito dopo, quando dalle carte di palazzo San Francesco venne fuori una scheda Aedes di tipo E redatta niente meno che sedici anni fa, dopo il terremoto dell’Aquila, di cui nessuno si era occupato.
Tanto lunghi i tempi di adeguamento sismico del monumentale ingresso del cimitero, che il Comune ha deciso di ricorrere a due container d’emergenza. Emergenza che, però, a Sulmona, non fa rima con urgenza: i due scatoloni, a dire il vero neanche tanto “oni”, sono stati posizionati all’ingresso laterale, ma di fatto non ancora entrano in funzione.
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Il container per gli uffici è stato collegato solo qualche giorno fa alla rete fognaria, ma manca ancora l’allaccio elettrico (quindi anche il riscaldamento), digitale e la videosorveglianza. Per attivare quello che dovrebbe sostituire l’obitorio, invece, arrivato l’altro giorno, bisognerà fare oltre all’allaccio idrico-fognario ed elettrico, anche lavori di adeguamento per accogliere i feretri: eliminare i sensori della sbarra automatica che cadono proprio davanti la porta d’ingresso (sic!) e realizzare una piccola pedana per permettere ai carrelli porta-bare di entrare, sempre che la porta di 80 centimetri sia sufficiente.
In attesa delle “toppe”, si resta scoperti, nel vero senso della parola: i custodi lavorano all’aperto o in macchina e se devono andare in bagno ricorrono a quelli pubblici tra i cipressi, mentre per i defunti niente sosta, ma tumulazione immediata (derogata a tutte le ore), se non hanno la “fortuna” di essere ospitati in attesa in qualche casa funeraria.
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“Così non si può andare avanti – commentano sconsolati i custodi – sono settimane che attendiamo un riparo, alcune giornate sono davvero fredde, senza contare che compilare moduli appoggiati al volante non è proprio confortevole”.
L’eterno riposo, è più eterno che riposo.
Una città morente in tutti i sensi !
Mi domando :
Come si è potuti arrivare a questi punto di trascuratezza !
Ma chi è il responsabile di tutto ciò …perché non paga mai nessuno per tutto questo!
Ormai è una città al collasso