
Lunghi capelli e barba grigi: Nunzio Marcelli non è un volto che si dimentica facilmente. Se non altro per il successo mediatico che ha avuto per le sue attività che lo hanno fatto diventare un po’ il simbolo del “pastore abruzzese”, o meglio della pastorizia abruzzese, quella capace di avere le radici salde alla tradizione e proiettarsi nel futuro. Tant’è che qualche settimana fa è entrato anche a far parte della collezione Lego BrickHeadz del designer Franky Rebrick: un’icona, insomma, diventata tale dopo quasi cinquanta anni di marce in controcorrente, a difendere e valorizzare un settore e un’identità che in molti davano e danno per perse.

La sua è una passione coltivata da quando era ragazzo e che comincia a prendere forma nel 1977, quando universitario di Economia alla Sapienza di Roma, esce la legge sull’assegnazione delle terre incolte: “Erano gli anni di piombo e di grandi turbolenze sociali – racconta – io stavo preparando la tesi di laurea sulla valorizzazione delle aree interne attraverso il rilancio della pastorizia. Così decisi di tornare ad Anversa degli Abruzzi e dare forma a quegli studi: non fu una scelta da figlio dei fiori, né una fuga. Piuttosto un ritorno e una sfida consapevole: mio nonno era emigrato negli Stati Uniti e mio padre era stato 12 anni in giro nei campi di guerra di Etiopia e Marocco, entrambi erano tornati al paese e io non volevo essere l’ultima generazione a lasciare questi luoghi, a tradire le radici”.
La legge, però, non vide mai i decreti attuativi e, di fatto, non divenne mai legge: “Superammo questo ostacolo grazie a Don Luciano Di Marzio che mise a disposizione il patrimonio della chiesa di San Marcello e delle congreghe – racconta Nunzio – erano 50 ettari frazionati che insieme ad un gruppo di paesani riunimmo costituendo la cooperativa Asca. Erano terre polverizzate, buone per quando c’era la coltivazione manuale, ma inutilizzabili con le nuove tecniche di coltivazione: riunirle fu il primo importante passo”.


Qualche anno dopo, nel 1980, l’Asca tira su il primo capannone-stalla: 150 pecore, foraggiate con i frutti dei raccolti. “In paese molti ci guardavano con diffidenza – spiega – Anversa è stato sempre un paese di carabinieri, poliziotti e ferrovieri e l’idea di fare della pastorizia un’impresa economica era vista con molto scetticismo e qualche ostruzionismo”.
Per varie motivazioni, così, Marcelli resta solo nella cooperativa, contando comunque sulla sua professione di insegnante (da cui è andato in pensione 4 anni fa) e sull’apporto della famiglia.



Dalla famiglia, quasi tutta dedita al commercio, eredita la consapevolezza dell’importanza del marketing e capisce, prima di ogni altro, il valore aggiunto dell’autenticità e del rapporto diretto con i clienti: “Qui in Abruzzo non abbiamo i numeri per lavorare all’ingrosso – spiega – il nostro prodotto, che è di qualità, sia esso il formaggio, la carne o la tradizione, vanno valorizzati e venduti per le loro peculiarità”.
E a Nunzio l’inventiva e l’originalità, certo non mancano: insieme a Gregorio Rotolo (scomparso qualche anno fa prematuramente) fa del pastore abruzzese un vero e proprio brand. Giocano, entrambi, sulla figura del pastore-montanaro, forte e gentile come l’Abruzzo, autentico come i prodotti che espone e vende nelle fiere di mezzo mondo. “Gregorio era un vero pastore e figlio della pastorizia – ricorda senza riuscire a nascondere la commozione – un ragazzo molto intelligente che, nonostante non avesse studiato, era molto aperto alle innovazioni. Recitava la parte alla perfezione, perché in fondo quella era la sua natura. Si prestava a uomo immagine, ma dietro l’immagine c’era competenza e consapevolezza”.



Con lui riscopre i viaggi della transumanza dalla Puglia e ne fanno un’occasione di turismo esperenziale: “E’ una cosa che facciamo ancora in azienda – racconta – ma in verticale: i turisti il fine settimana accompagnano con noi le pecore ai pascoli sulle montagne. Una giornata da pastore, tra natura e sapori. Ne vanno pazzi”.


Il colpo di genio, l’exploit, però, arriva con l’iniziativa “Adotta una pecora”: “L’idea nacque da una campagna del Wwf, quella che con la Golia Bianca si adottava un orso polare – racconta Nunzio – la traslai sulle pecore, memore di quello che da queste parti negli anni Cinquanta era il ‘contratto alla parte’: le persone che andavano a lavorare fuori non avevano ben presente quale era il valore del denaro e così lasciavano i loro possedimenti in gestione a chi restava, garantendosi quei prodotti di cui, invece, conoscevano il valore, ovvero il cibo che era la preoccupazione principale a quei tempi. Ne parlò per primo Fulco Pratesi in un articolo nel 1996 sul Corriere della Sera. Nel 2000, poi, il caso della mucca pazza ridiede importanza alle pecore e alla filiera genuina e garantita: la cosa ci esplose in mano”. L’idea è semplice: l’adozione di una pecora con un canone annuale, in cambio dei prodotti che produce, una sorta di abbonamento al cibo di qualità. Nel 2002 “Adotta una pecora” viene premiato come miglior marketing rurale innovativo, alla Porta dei Parchi (nome dell’agriturismo che gestisce) arrivano le principali testate giornalistiche del mondo: Le Figarò, il New York Time, Bbc, Cnn e tv giapponesi, in rassegna stampa si contano 850 articoli da tutto il pianeta. “Nel 2004 contammo un milione di accessi sul nostro sito e al tempo internet non era ancora così sviluppato – ricorda Marcelli –. C’era gente che chiamava da tutto il mondo, chi telefonava alla Regione chiedendo informazioni. Non eravamo pronti a quel successo: in totale abbiamo avuto circa diecimila adozioni, oggi ne sono in essere circa ottocento”.



Nunzio Marcelli è uno che ha lo sguardo sul mondo, d’altronde: nel 2007, ad esempio, va in missione in Afghanistan per insegnare ai pastori come lavorare il formaggio utilizzando il caglio per conservarlo. Nella sua azienda è il primo ad ospitare stabilmente i Woofing (dal progetto Wwoof, world wide opportunities on organic farms) ovvero volontari che da tutto il mondo arrivano ad Anversa per imparare a lavorare nei campi e con gli animali.



Oggi, a 70 anni, ha passato il testimone alla figlia Viola, anche se continua ad occuparsi dell’azienda: 15 dipendenti, 1 milione di euro di fatturato, 1300 pecore e 300 capre, un caseificio, un punto vendita dove è in commercio tutta la filiera, compresa la lavorazione della lana, l’agriturismo con le camere e il ristorante e uno dei pochi mattatoi rimasti, “perché così oltre al risparmio – spiega – gli animali non si stressano nel trasporto”. Più a valle, alla fonte del Sagittario, ha attrezzato anche un campo di yurte per glambing, ovvero tende attrezzate dove trascorrere le ferie. Un’azienda che alla transizione energetica ci ha pensato in tempi non sospetti: oggi con tre impianti fotovoltaici da 190 Kw è pressoché energeticamente autonoma.


La missione, però, resta sempre quella della pastorizia: “E’ un’attività che in Abruzzo potrebbe attivare 4-5mila posti di lavoro – spiega – basterebbe tornare a fare i pastori e gli allevatori. Basti pensare che oggi sono rimasti in Abruzzo circa 100mila capi di pecore a fronte dei 4 milioni circa che c’erano nell’Ottocento. Solo la filiera degli arrosticini richiede 700mila capi l’anno che siamo costretti ad importare. Basterebbe riaprire le stalle che ci sono, spesso abbandonate, e creare una filiera e una rete protetta, mettersi insieme. Fare una sorta di franchising, aprendosi alle possibilità che offre la tecnologia: droni e microchip per controllare le greggi ad esempio. Fino ad allora è inutile parlare di Dop o Igp, perché attualmente non siamo in grado di rispondere alla richiesta del mercato. Le speculazioni sui Pac e la politica che è stata sempre molto impreparata e inadeguata impediscono alla nostra regione di sfruttare appieno le sue potenzialità”.
La prossima settimana, il 26 e il 27 marzo, ne parlerà a Gagliano Aterno dove ha organizzato Pastinnova, un whorkshop internazionale che porterà in Abruzzo esperti da Croazia, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Turchia, per discutere di modelli innovativi per il futuro sostenibile dei sistemi pastorali mediterranei.
Il pastore abruzzese non si ferma mai nella sua “transumanza”.



Nunzio, un mito!
Nunzio è l’espressione più autentica della gente d’Abruzzo, generoso, testardo,fiero del suo lavoro. Un uomo d’altri tempi che sin da ragazzo, desiderava realizzarsi nel mondo della pastorizia, un sognatore con i piedi ben piantati sul terreno, in definitiva “un grande”.
Una strada per lui: “Nunzio Marcelli-Il Signore degli agnelli”. Lo meriterebbe.
Da ex alunno a Vice Preside
Una vita per capirti.
OMAGGIO A NUNZIO MARCELLI (come Enrico VI) …”O Dio credo che sarebbe una vita felice non essere niente più di un semplice pastore… tante ore per badare al gregge, tante per il riposo, tante per la contemplazione, tante per lo svago, tanto per sapere da quanti giorni sono pregne e quante settimane occorreranno a quelle schiocchine per sgravarsi, e quanti anni per la tosa degli agnelli… W. Shakespeare. Con affetto. Beatrice