Il mio nome non è “bella”: anche a Sulmona uno sportello per il catcalling

Il termine CATCALLING (o street harassment) è ormai entrato nel linguaggio italiano e internazionale, ma la sua origine è molto più antica di quel che pensiamo. 
Nel Seicento, si faceva riferimento ai versi dei gatti (“cat”, “calling”, chiamare il gatto), nel Settecento invece ai fischi del pubblico, nei teatri inglesi, nei confronti degli artisti. 
Il termine è poi tornato in auge nel 1956, sulle pagine di un giornale americano.
L’Accademia della Crusca ha definito il catcalling come
“molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in strada”
In realtà, non solo in strada, ma in qualsiasi luogo pubblico, come mezzi di trasporto, bar, parchi, da parte prevalentemente di sconosciuti nei confronti di donne ma anche persone con disabilità, appartenenti a minoranze etniche, LGBTQI+ e così via.

Nel 2017, la BBC ha presentato un video elencando una serie di azioni, non esaustive, per definire il catcalling:

– clacson, fischi, gesti e commenti volgari e allusivi, avances, fissare insistentemente, apprezzamenti sessuali anche espliciti, fino ad arrivare a comportamenti intimidatori e molestie fisiche come i palpeggiamenti e a violenze e aggressioni –

Pensiamo che sia la normalità, ci dicono di doverci fare l’abitudine, che la responsabilità sia nostra (comportamenti, abbigliamento, trucco …), ma non è così.

È insita in molte di noi la paura di camminare da sole, specialmente di sera, percependo un costante pericolo dietro l’angolo. Allunghiamo il passo, facciamo finta di essere al telefono o chiamiamo qualcuno per farci compagnia, teniamo le chiavi di casa strette in mano, ci sentiamo dire “scrivimi quando torni a casa”…..
Non si tratta di goliardie, complimenti innocenti o scarsi tentativi di approccio, ed è per questo che è fondamentale spogliare il termine da stereotipi e fraintendimenti e fare un’analisi opportuna perché, ahinoi, si tratta di un fenomeno non affatto nuovo, troppo spesso minimizzato.
Un triste esempio è dato dalla storia di Ruth George, studentessa americana di 19 anni che nel novembre 2019 è stata uccisa da uno sconosciuto incontrato per strada che aveva iniziato a commentare il suo aspetto fisico. L’uomo l’ha seguita, aggredita sessualmente e strangolata. Una volta arrestato, ha raccontato di aver agito “in preda alla rabbia” solamente perché Ruth si era rifiutata di parlargli.
Una storia non isolata, alla quale, purtroppo, si aggiunge anche la morte di Sarah Everard, una ragazza londinese uccisa poco meno di due mesi fa mentre stava rincasando, di sera. Sarah aveva cambiato tragitto per tornare a casa, percorrendo una strada più lunga ma illuminata.
La sua morte ha infiammato le strade di Londra e aperto un dibattito transnazionale sulla violenza di genere e sulla sicurezza delle donne, con un focus particolare sul catcalling e le sue dinamiche.
A tutto questo va inevitabilmente aggiunto l’aumento delle denunce social, grazie alle quali il fenomeno del catcalling sta uscendo dai confini virtuali, ricevendo l’attenzione dell’opinione pubblica che, se da un lato, dimostra di essere attenta e sensibile, dall’altro, lo banalizza, esclamando frasi del tipo “Ma alle donne fa piacere”, “allora adesso non si può dire più niente”, “che esagerazione”.


Il gruppo statunitense “Hollaback!”(che lavora online e offline per contrastare le molestie in tutte le sue forme) e la Cornell University hanno condotto uno studio su scala internazionale, coinvolgendo 22 Paesi ed è emerso che, in media, l’84% delle donne intervistate ha subito molestie da strada prima dei 17 anni.
L’indagine ha inoltre mostrato che è comune fra le donne provare rabbia, ansia, disagio, umiliazione, imbarazzo, timore tanto da avere paura a camminare sole. 
Nel nostro Paese, ancora si è giunti a un inquadramento giuridico-penale del catcalling, che, però, può sicuramente rientrare in fattispecie di reato come le “molestie” (art. 660 c.p.).

Diversa è invece la situazione in Francia che, nel 2018, ha riconosciuto il catcalling come illecito amministrativo, punito con una multa fino a 750 euro, oltre a una mora per comportamenti perfino più aggressivi. Inoltre, nei casi di recidiva, è previsto un programma di riabilitazione civica.

Questo rappresenta un primo passo avanti ma tanti devono essere ancora intrapresi perché è importante che le donne, come ogni altra persona, siano tutelate con ogni strumenti, in primis quello culturale, puntando sulla sensibilizzazione e sull’educazione per contrastare ogni faccia della violenza e una mentalità maschilista svalutante e prevaricatrice.

In questi anni, è stato fondamentale l’attivismo operato tramite i social network, strumenti che si sono rilevati essenziali per far luce e aumentare la consapevolezza sul tema delle molestie da strada, partendo soprattutto dai giovani.
A tal proposito, è utile presentare brevemente quella di una studentessa newyorkese che, nel 2016, ha creato l’account instagram “catcallsofNYc”, per raccogliere le segnalazioni e raccontare, in forma anonima, le esperienze delle vittime di catcalling. Dal 2018, questa iniziativa è giunta anche in Italia, in città come Milano, Roma, Bari e gli account contano un grande seguito.
La rete si è allargata coinvolgendo anche la nostra regione, precisamente la città de l’Aquila, la quale, fino a qualche giorno fa, era l’unica ad avere un account dedicato (@catcallsofaq). Questo perché si è aggiunta anche la città di Sulmona, con @catcallsofsulmona, coinvolgendo la stessa e zone limitrofe, creando in questo modo uno spazio dove chiunque può raccontare esperienze del genere.

Giulia Di Pietrucci

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