Sono le due parole che probabilmente sentiremo più spesso da qui al dieci febbraio prossimo. “Aree interne” è diventato uno slogan, una scusa, un luogo dell’anima e della politica più che fisico. Che poi non si sa bene dove inizino e dove finiscano, le aree interne: se agli argini del fiume Pescara, piuttosto che all’interporto di Manoppello. Se al confine con il Molise, piuttosto che con quello dell’Aquila. Negli anni, nomi, nomignoli e appellativi, non sono mancati: aree sottosviluppate, poi diventate più politicamente corretto sottoutilizzate, depresse, zone economiche speciali, 87.3 c, disagiate, protette o da proteggere. Qualunque nome abbiano preso o meglio gli abbiano dato, però, una cosa è certa: nessuno ha fatto niente per cambiare il loro destino e anzi i dati impietosi ci consegnano ogni anno qualche meno in più: meno duemila abitanti, meno 112 imprese, meno tre/cinque punti di crescita rispetto alle medie nazionali, dice un recentissimo studio di Aldo Ronci. E non sono questi numeri frutto di una natura beffarda, ma della latitanza e a volte dell’offesa della politica: come in un circolo vizioso, spending review e riforme fatte di carta e numeri, cancellano servizi e connessioni, rendendo difficile, poco attrattivo, più pauroso, vivere qui. Il pediatra che dista trenta chilometri di strada curve e ghiaccio, la Tac che non funziona, la fibra che arriva a stento, le pratiche Inps che proprio tutte non si possono fare, persino la giustizia in procinto di migrare. Terra dei nessuno, che nessuno è stato in grado di riscattare. Bisognerebbe ripartire dalle basi, perché la fortuna di queste terre furono i tratturi e le vie di comunicazione, al centro fisico ed economico, un tempo, dei mercati e dei mercanti. Isolati e irraggiungibili, oggi, invece: impossibilitati persino a fare turismo tra i monti che sono la nostra più grande ricchezza o a prendere un treno per arrivare a destinazione prima che faccia buio. Di questo, dei bambini senza pediatra, delle strade chiuse e rotte, della sanità lontana, dei trasporti a traino di mulo, dell’arretratezza tecnologica che il mondo ce lo fa solo guardare dallo schermo di un pc, la politica dovrebbe parlare, anzi agire. E invece tace o parla per slogan, accampa scuse e dimentica che nei luoghi dell’anima sopravvivono ancora delle anime.
Corretta quanto spietata analisi della realtà locale.
Bel servizio.
L’importante è la poltrona da avere e da dare ai propri portaborse