Il custode

Il custode

Quando il cancello si spalanca, il gregge di capre bianche si sposta verso il pascolo come una nuvola vorticosa. Il tintinnio confuso dei campanacci scavalca la costa resa fangosa dalle piogge degli ultimi mesi e si perde fra i campi. Con Andrea facciamo fatica a stargli dietro. Come un fiume ingrossato difficile da contenere, le capre vanno a fermarsi dove loro sanno: trecento metri sopra la stalla, in una macchia ricca di prugnolo e ginestre di cui vanno ghiotte. Solo allora possiamo tirare un po’ il fiato. Per tutto il tempo Carmine Valentino Mosesso, come un cane pastore, gli ha corso dietro per impedire che sconfinassero nei terreni altrui. Brigante invece, il maremmano che avrebbe dovuto svolgere questo compito, se n’è rimasto in mezzo a noi a cercare carezze e altre smancerie di questo tipo. Al momento – stranamente – non ha ancora piovuto.

Castel del Giudice è un paese molisano di trecento abitanti, adagiato sul suo colle domina una porzione di valle del Sangro. Qui ogni cosa sembra curata e ben tenuta: le facciate delle abitazioni, l’aiuola davanti al Municipio, il lastricato di sanpietrini nella piazza principale. Più in basso, vecchie stalle restaurate e riconvertite in albergo diffuso da un imprenditore lungimirante, ospitano ricchi abitanti di città. In paese la vita sociale gira tutta attorno al bar: ad un certo momento può capitare che il proprietario si assenti, lasciando detto ad uno dei ragazzi presenti di autogestirsi.

Carmine è il trentenne fondatore di Dentroterra, azienda agricola del territorio. Gilet, camicia a quadri e stivali sporchi di fango e letame, a testimoniare che la sua è una scelta di vita, non una posa bucolica. Una sessantina le capre Saanen con cui produce ricotte, primo sale e formaggi di ottima fattura e cinque gli ettari di terreno dove mette a coltura grano, orzo, patate e fagioli. Proprio grazie ai fagioli a febbraio del 2023 ha vinto l’Oscar Green, il premio di Coldiretti alle aziende agricole guidate da giovani imprenditori, nella categoria “Custodi d’Italia”. Carmine con le sue semine ha salvato dalla scomparsa il fagiolo della Levatrice, un legume portato in paese da un’ostetrica del ferrarese che era solita regalarlo alle partorienti e di cui si era quasi perso il seme. Oggi è catalogato nella banca del germoplasma ed è tornato nelle campagne e sulle tavole del territorio.

Un raggio di sole buca nuvole minacciose che si arricciano e s’increspano sui crinali delle montagne. Nel piano la fondovalle Sangro – cantiere eterno – è una biscia d’asfalto tra chiome di salici e querce. Brigante in cerca di attenzioni guarda interdetto Andrea. Carmine ha raccolto un bastone e ora pare un direttore d’orchestra. Il pascolo è migliorato da quando porta i suoi animali su questi campi, c’è più biodiversità e la terra è concimata e fertile ci confessa, poi spalanca le braccia e si inginocchia all’aria: “Sai quante nuotate mi sono fatto qui, questo è il mio mare”. Le capre brucano fiori, germogli e rami spinosi. Mescolandosi all’ambiente, creano un paesaggio dove risaltano il giallo della ginestra, il rosa della lupinella, il viola della veccia, il candido del gregge e mille sfumature di verde. Quello che abbiamo davanti pare venuto fuori dalle tempere e dal tratto sottile di Giovanni Segantini.

Dopo la laurea in agraria conseguita all’Università del Molise di Campobasso, ha deciso di tornare a vivere a Castel del Giudice perché “era finita la bombola con l’ossigeno del mio paese – afferma ironico -. In realtà non me ne sono mai andato, sono sempre rimasto qui con la testa. Per restare ho dovuto fondare un’azienda agricola” continua sarcastico, quasi che l’unico destino che spettasse alla nostra generazione fosse quello della valigia, la via obbligata dell’emigrazione, della città. Con la sua scelta fortemente politica, Carmine si è iscritto di diritto nel registro della restanza, fra i tanti e le tante che con i corpi e le biografie hanno deciso di radicare per tornare a scrivere il futuro dell’Appennino e più in generale dell’Italia Interna. Giovani che riconoscono le potenziali ricchezze dei territori e sovvertono la narrazione che vuole l’Italia del margine come luogo da cui solo partire. Questo contro-esodo rifonda la relazione fra comunità e ambiente su un equilibrio eco-territoriale che produce in definitiva nuova coscienza e senso dei luoghi.

“Apparterrai per sempre / alla terra che scelse il nome di tuo padre / il viso e la voce di tua madre”

Con le capre Carmine ha conteso ettari al bosco e all’inselvatichimento che la montagna non più lavorata e vissuta rischia, riallacciando il rapporto coevolutivo tra attività umane e ambiente. Non solo, perché il pascolo è anche relazione, cultura, educazione, come quando un bambino che lo accompagnava con la famiglia gli ha chiesto dove tenesse i polli con quattro zampe. “Come i polli con quattro zampe?” ha risposto preoccupato il pastore. “Al supermercato la mamma compra sempre la confezione con quattro cosce” si è difeso il bimbo. Far scoprire ai più piccoli da dove vengono i prodotti che mangiamo diventa allora una questione vitale.

Le prime gocce bagnano il viso. Il cielo costringe ad una ritirata strategica. Brigante chiama la carica e spinge con scatti violenti le capre verso il recinto. L’acqua in poco inizia a scendere giù a secchiate illuminando il prato che pare luccicare. Troviamo riparo nel caldo della stalla, fra i capretti che belano vogliosi delle mammelle delle madri. Carmine ha il sorriso buono della gente semplice d’Appennino e l’aria vagamente malinconica. Quando davanti ai compagni di classe ha confessato l’aspirazione della pastorizia, sono sbottati tutti a ridere e quello è stato lo sfottò dell’anno nel quarto geometri di Castel di Sangro. Dieci anni dopo, fra le mura di questa stalla e in procinto di aprire un piccolo caseificio di montagna: si può dire che la scommessa sia stata vinta. Ma pensare a Carmine soltanto come pastore è fargli torto, è conosciuto al grande pubblico anche come poeta. Il suo La terza geografia (Neo, 2021) ha venduto migliaia di copie e sta scalzando i paesologi invecchiati male nell’immaginario poetico dell’entroterra. I componimenti parlano di amore: per la propria terra, il paese, i paesani, la montagna. “La poesia – sostiene – è un impegno civile. Non deve stare solo nelle bocche, ma deve essere scritta nella propria terra. Il poeta tiene sulle spalle un destino: portare un nuovo approccio alla terra”.

“Il primo bacio lo ricordo ancora: / il paese pettinato con le mani, / i vicoli intrecciati come anelli tra le dita, / fu proprio allora che mi sradicai da me / per respirarti per sempre da vicino”

Carmine custodisce semente, versi, ma anche memorie. Ha come l’ossessione per i racconti degli anziani. Come un detective va alla ricerca delle tracce del mondo contadino, della civiltà appenninica, del paese scomparso – distrutto dalle bombe della guerra e dalla modernità. Da qualche tempo ha iniziato a raccogliere i ricordi dei suoi compaesani chiedendogli di scrivere una lettera al paese. L’idea ha riscosso molto successo e presto diventerà un libro. “Le anziane e gli emigranti si sentono preziosi. Dopo la timidezza iniziale si lasciano andare e ti raccontano tutto quello che sanno. Gli anziani si portano dietro quello che gli avevano detto nelle orecchie e poi la vita materiale, l’emigrazione e la guerra. Sono come un manuale. Mi spaventa la scomparsa dei vecchi, la dimenticanza. È come l’acqua in una sacca: se trova un’apertura se ne va e non la trattieni più. La sfida è rilegare le storie, tesserle insieme, ricomporre il manuale”. In questo inverno di memorie continuare a mettere mattoni è fondamentale.

Mi chiedo se la voce sommessa, il dubbio come pratica e quei secondi che impiega prima di rispondere ad una domanda non siano altro che un tempo antico trattenuto che torna a parlare, il pensiero di un’ecologia lontana che rinviene attuale. Mi domando se la serietà che mostra sia dovuta al ruolo che suo malgrado ha finito per ricoprire: ultimo pastore del paese, o primo di una nuova stagione; giovanissimo e già unico custode di una cultura millenaria. Sulle spalle sente tutto il peso di questa responsabilità, il senso dell’agire e dell’essere agito. Ma la sua non è una custodia privata, è un tenere collettivo; un sapere conservativo e trasformativo.

Come si salveranno i paesi nessuno lo sa. Carmine ha scritto che faranno come hanno sempre fatto “una mela in due, un fil di ferro” adattandosi alle asperità dell’orografia, ma serve anche un impegno civile, comunitario, politico – oltre che pubblico per garantire il minimo di servizi e investimenti di cui necessitano i paesi. Ma è il momento di credere nelle imprese che appaiono impossibili, nelle cause date perse in partenza. Del resto siamo pur sempre i figli di quella civiltà, non povera d’ingegno, che abitò queste terre, che per mangiare riuscì nell’idea folle di spietrare una catena montuosa, di dissodare e mettere a coltura i terreni più aspri e acclivi, che per sopravvivere pascolò fin sulle cime più alte, negli antri più remoti delle valli. Il futuro di questa terra allora, non può che essere nel suo passato.

“O arriva una risposta da noi o cancelliamolo dalle carte questo Appennino – conclude. Il più grande architetto e progettista di questi paesi e paesaggi nei secoli è stata la miseria. Qui ci sono le tracce delle carestie e delle buone pratiche, le memorie dell’ingegno e della povertà. Nella terra si concentrano passato, presente e futuro. Nella terra, nella sua circolarità, si tiene l’umanità tutta e nella terra è contenuta la risposta. L’Appennino con i suoi paesi rimasti al margine della modernità, ha una grande opportunità oggi: diventare una scuola di vita nei territori rurali, un laboratorio del nuovo abitare, la terra dove edificare l’umanità che si farà”.

“Il pastore ha scelto la voce delle cose / più che le parole degli uomini, ha scelto il vento, / un altro modo di abitare il tempo”

I virgolettati in grassetto sono tratti da La terza geografia (Neo, 2021) di Carmine Valentino Mosesso

7 Commenti su "Il custode"

  1. Esprimo profonda gratitudine per Carmine che ha il coraggio di restare sostenuto dall’amore per la sua terra.

  2. Custode di un amore quasi surreale….articolo stupendo che onora il magica custode.

  3. Le belle cose che ancora esistono, che resistono!

  4. Leggo solo adesso questo bellissimo articolo,anzi, questo bellissimo racconto che sa di vento ,di fili d’erba,di fatica e di orgoglio,
    Grazie all’autore che ci ha fatto conoscere questo ragazzo straordinario a cui vanno tutta la mia ammirazione e un augurio grande come i suoi prati.

  5. E bellissime e di grande suggestione anche le foto!

  6. Persona straordinaria complimenti vivissimi e spero che altri ragazzi possano fare altrettanto.

  7. Articolo davvero bello!
    Evocative le parole, lo scenario, i protagonisti.
    Grazie Carmine, grazie Savino.

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