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Il primo ricordo è un rumore e un odore, quello associato alla scala in ghisa che saliva, dal piano terra del laboratorio, nonna Clotilde dopo aver fatto cento cassate sulmonesi. “Avevo cinque anni ed eravamo appena tornati dagli Stati Uniti dove i miei erano andati per vedere se c’erano possibilità di business – racconta 55 anni dopo William Di Carlo –. Vivevamo al piano di sopra della fabbrica, quella storica che si trovava al piazzale della stazione ferroviaria. E l’odore e il sapore dolce delle cassate mi sono tornate in gola quando molti anni dopo smontai quella scala a chioccia in ghisa che portava in camera mia e la rimontai in casa a via Barbato. Appena l’ho salita, ho rivissuto con nitidezza quel primo ricordo”.
La fabbrica di dolci, cassate, mostaccioli e confetti, sarebbe stata poi per William Di Carlo la sua dimora per la vita. Non avrebbe potuto essere altrimenti. La sua è una dinastia di confettai a duplice lignaggio, con quel certificato datato 1833 in cui il bisnonno della nonna, Francesco Marcone, “di professione confettaio”, registra la nascita del figlio Filippo. Fu lui, insieme ad un altro confettaio, Luigi La Civita (da cui deriva l’altro ramo dell’albero genealogico), a fondare nel 1860 la Industrie riunite confetti, da cui nascerà poi la William Di Carlo.
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La storia, per arrivare ai giorni nostri, è ancora lunga e dolce, non solo di zucchero e confetti: il bisnonno Alfredo Di Carlo (produttore di centerbe dalla costa abruzzese) non è ben visto dal futuro suocero Luigi La Civita e per comunicare con la moglie Rosina le invia lettere cifrate sui giornali. Dalla loro unione nasce William Di Carlo (il nonno) che cresce con la zia Chiara La Civita, sorella di Rosina, “fuggita” in America con il suo Alfredo.
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William “il giovane” si aiuta nei ricordi con i certificati e le carte raccolti tra gli archivi di famiglia e quelli dell’Istituto Luce, che immortala in immagini in movimento le sue origini. Tra gli appunti spuntano anche le foto e la dedica che nel 1935 Ettore Ferrari fece al bisnonno Achille Marcone: “Padrone della mia arte, ignaro della sua” scrive il famoso scultore dopo aver ricevuto il calco della sua statua di Ovidio realizzato con la cioccolata.
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“La cioccolata è stata sempre lavorata dalla mia famiglia – spiega William – e forse non è un caso che oggi l’azienda, oltre ai confetti e ai torroni, sia concentrata su prodotti di cioccolateria: oltre alle uova di Pasqua che facciamo da 40 anni, abbiamo appena lanciato i cubetti al gusto di Cubano, Gianduia e Cappuccino”.
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William Di Carlo è reduce da una delle fiere più importanti d’Italia, quella del Taste Pitti di Firenze che c’è stata dal 7 al 9 febbraio e nella quale ha presentato il nuovo prodotto appena sfornato: “Dopo il successo del confetto Cubano – racconta – ho pensato di creare un prodotto che avesse lo stesso gusto e gli stessi ingredienti, ma che fosse più facilmente commerciabile. Abbiamo quindi scomposto il Cubano e ne abbiamo fatto un cioccolatino che abbiamo presentato a Firenze ad inizio mese. E’ stato un successo: nonostante alla Fiera non ci fosse un vero e proprio mercato con buyer, abbiamo già avuto ordinazioni per la Svezia, la Lituania, la Repubblica Ceca e la Svizzera, oltre che per l’Italia”. Certo il confetto resta sempre la bandiera, l’identità dell’azienda e della città, ma William è uno che non si è mai fermato, che ha sempre raccolto le sfide del mercato, che non si è mai cullato sul blasone e la fama del prodotto sulmonese per eccellenza.
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Nella produzione, ma anche nella commercializzazione: dai negozi di Abu-Dabi e Madrid, a Eataly di Fico a Bologna; dalle sperimentazioni sui confetti con zafferano, rum e tiramisù, a quelli firmati e personalizzati: “La gente si sposa sempre meno e il confetto nelle cerimonie è sempre stato relegato a fine pasto, mai apprezzato per la qualità che può esprimere – spiega William Di Carlo – per questo ho cercato di decontestualizzare l’uso del confetto nel consumo quotidiano: accompagnarlo ad un rum, ad esempio, o gustarlo come prodotto a sé. Il passaggio al cubetto di cioccolato è dettato anche da questa esigenza, quella cioè di valorizzare il gusto, renderlo commercialmente più appetibile, venderlo separatamente e non in un sacchetto. Non è facile vendere confetti, perché spiegare e far apprezzare la qualità, a chi non è di Sulmona, non è facile. Bisogna anche saperlo presentare, per questo do grande importanza al packaging: ogni volta che creiamo una nuova confezione, per me è come scartare un regalo di Natale”.
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Nel 1999 il grande passo, l’apertura di un nuovo stabilimento in via del Lavoro: un capannone che anche esternamente sembra una bomboniera. “In realtà abbiamo bisogno di ampliarci ora – spiega William Di Carlo – l’apertura a nuove produzioni e i nuovi macchinari richiedono più spazio. Abbiamo appena acquistato una catena di produzione per i cioccolatini che dosa, raffredda in verticale e incarta singolarmente. Sto verificando la possibilità di ampliare il capannone, ma siamo proprio al confine con la zona industriale e bisogna verificare la cubatura a disposizione. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di recuperare gli spazi al piano terra ora destinati alla vendita per destinarla alla produzione e spostare il front-office al primo piano dove c’è il reparto bomboniere. Quest’ultimo, d’altronde, è una settore che non mi appassiona e che di certo non è più quello di prima. Gli sposi spesso oggi non vengono neanche più in azienda per scegliere gli oggetti, magari chiedono qualche foto su Whatsapp. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di prendere un altro stabile, vedremo”.
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In fabbrica, d’altronde, gli addetti negli ultimi anni sono quasi raddoppiati diventando 15, di cui 7 in produzione, per un fatturato che si attesta sul milione e mezzo di euro l’anno. Più dello spazio, però, preoccupa la manodopera: “C’è una sorta di schizofrenia in questo territorio, dove ci si lamenta perché non si trova lavoro, ma allo stesso tempo si fa una gran fatica a trovare qualcuno che vuole lavorare. Io ricordo che mia nonna lavorava, con otto figli, dodici ore al giorno. Mia madre ad 88 anni continua a venire in azienda e mio padre ha lavorato fino all’ultimo. Non è certo quello che pretendo: più che altro – spiega l’imprenditore dei confetti – è difficile trovare dipendenti che si appassionano a quel che fanno, eppure le possibilità di crescita ci sono e chi ama questo mestiere ha anche le sue soddisfazioni. Molti dei successi ottenuti li devo a Franca e Nadia (due storiche dipendenti, ndr), che in questi anni ci hanno messo del loro. Il Cubano, ad esempio, è nato da un’intuizione di Franca che si era portata una bottiglia di rum da casa e mi aveva fatto provare l’impasto. Io poi le ho dato le correzioni da apportare e così è nato dodici anni fa uno dei confetti più amati dai consumatori”.
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William, che in azienda è entrato quando aveva 24 anni, dopo aver sostenuto gli esami più importanti di Economia e Commercio, si occupa un po’ di tutto, delegando solo la parte amministrativa e finanziaria: “Passo molto tempo in laboratorio e seguo da vicino il controllo qualità – spiega – ma gestisco anche la parte commerciale, il lancio di nuovi prodotti, il rapporto con i fornitori che sono importanti. Usiamo solo mandorle di Avola – dove abbiamo avuto anche un premio –, zucchero italiano e nocciola romana, mentre il cioccolato è una nostra miscela con materia prima che viene dal Belgio e dall’Italia. Avevo tentato anche di mettere a dimora dei mandorleti di Avola qui in Valle Peligna per avere un prodotto più a chilometro zero, ma non hanno attecchito. Bisogna tentare strade diverse, non tutte hanno successo, ma il segreto dell’impresa è quello di non fermarsi, di sperimentare”.
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Tra i rimpianti c’è quello di non essere riuscito a mettere insieme i confettai di Sulmona, magari creando un marchio Igp: “Il rapporto tra i confettai e la città penso sia di reciproco favore: dobbiamo molto come azienda a Sulmona perché l’immagine della città si associa ai confetti – aggiunge – ma allo stesso tempo Sulmona deve molto al nostro prodotto che esporta il nome della città in tutto il mondo. Questo rapporto ho cercato più volte di istituzionalizzarlo con i colleghi confettai, avevo anche recuperato il logo SUL che usavano gli antichi orafi in città per arrivare ad un Igp, ma c’è molta gelosia e poco spirito collaborativo tra le diverse aziende. Ognuno chiuso nel suo orticello, eppure ci sarebbe tanto da fare per valorizzare il confetto di Sulmona”.
Dopo duecento anni di storia, sarebbe l’ora delle nozze.
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