Ci avevano provato prima con la preghiera, poi con le dimissioni del consigliere Fabio Ranalli che, lasciando il suo posto a Simone Tirimacco (che però ha rinunciato), lo avrebbe messo quanto meno in imbarazzo per il fatto di essere il padre del suo controllore e alla fine hanno dovuto agire con un rimpasto in giunta, comunicato in sordina mercoledì scorso, svuotandogli di fatto le deleghe e mettendogli un tutor a controllare anche l’azione sulla manutenzione e il verde pubblico. L’assessore ex ai Lavori Pubblici, Mauro Tirimacco, è diventato così il capro espiatorio dell’amministrazione comunale di Sulmona che, di fronte ai reiterati fallimenti amministrativi, non sa più come giustificarsi. Non che Tirimacco, l’uomo che sussurrava ai cavalli, non abbia le sue colpe: i lavori pubblici non hanno fatto mezzo passo in avanti e la città continua ad essere preda del degrado e della sporcizia. Altro che salute pubblica. Il “paziente” anzi è in stato comatoso e anche il “dottore” non sta per niente bene: perché il rimpasto delle deleghe nell’esecutivo, è solo uno dei sintomi di un malessere diffuso in una coalizione innaturale e forzata che, per il momento, si tiene in piedi solo in vista del voto delle provinciali del prossimo 20 ottobre. Così, ad esempio, l’assessore all’Urbanistica Luigi Biagi non ha fatto a tempo a dire che vorrebbe mettere mano ai piani integrati (che fino a qualche mese fa sembravano la panacea del settore edilizio), che un altro consigliere di maggioranza, Antonio Di Rienzo, ha lanciato i suoi strali, dicendo che no, che prima ci vuole il Piano regolatore. Uno nuovo, mica no. E che anche sul resto la città è ferma: la riorganizzazione della macchina amministrativa non è riuscita neanche a mettere in piedi le Apo, le scuole (a parte la Capograssi) sono senza neanche un nastro da cantiere, il nuovo ospedale, aperto ma non troppo, continua ad essere una scatola vuota, la gestione delle partecipate è del tutto fuori controllo, le opere pubbliche, dall’area camper a Casa Italia, quelle neanche a parlarne. I cittadini, dal canto loro, non sembrano avere neanche più la forza di protestare: presi per sfinimento attendono che la candela si spenga per consunzione. Che un cero nuovo, prima o poi, a qualcuno bisognerà pur accenderlo.
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