Il capannello di Vittorio

Quarantacinque poeti da sedici regioni e una sala gremita, oggi, quella dell’auditorium dell’Annunziata: Vittorio Monaco, il professore, il poeta, il politico, l’uomo, chissà come l’avrebbe preso tutto questo clamore.

A dieci anni dalla sua morte, con una città e un territorio che non lo dimentica e lo ricorda calcando una delle sue tante passioni, quella più intima dei canti in dialetto della sua Pettorano.


Un Premio nazionale che ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel panorama dei concorsi italiani, con tutte le sfaccettature della lingua che lega la terra alla testa passando per il cuore. Che racconta con linguaggi ormai spesso dimenticati i fatti e gli animi della strada, della tradizione. Che unisce le storie degli avi alle esigenze di ricerca, di scavare dentro se stessi. Di darsi un’identità in una società che livella e globalizza.


A vincere questo importante decennale del Premio, le “Vie della memoria”, organizzato dal Centro studi e ricerche a lui intitolato, grazie al contributo dello Spi-Cgil, è stato un romano: Enrico Meloni con la poesia “Celo de piommo”, secondo Antonio Covino da Napoli con”Per Gaia”, terzo Renzo Fantoni di Crevalcore (Bologna). E ancora il Premio città di Sulmona a Ireneo Gabriele Recchia di Pianella, è una menzione speciale della prestigiosa giuria a Nicoletta Chiaromonte di Roma con la poesia “Migranti”.


Un tema, quest’ultimo, su cui Vittorio Monaco ha speso tanto della sua vena poetica e politica e che oggi, nella nuova e ombrosa luce di cui è travolto, avrebbe scatenato senza dubbio una sua “piazzata”, radunato il solito capannello di auditori, rapiti dalla sua oratoria e dalla sua visione alta dell’uomo e della politica.
Perché Vittorio Monaco manca, mancano personaggi del suo calibro a questa città e a questo territorio. Manca il poeta, ma soprattutto la sua statura di uomo e politico.

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