Foto osé tra minori, una madre: “Andavano condannati penalmente”

Non riesce a trattenere le lacrime, perché di finire in tribunale proprio non se lo aspettava. Non certo poi per quel motivo, per una foto che la figlia allora quattordicenne aveva inviato ad una amica. La foto della vergogna, quella che lunedì scorso ha portato il tribunale civile di Sulmona a condannare i genitori di dieci ragazzini al risarcimento della vittima. Anche lei quattordicenne al tempo, fotografata nuda, con le gambe aperte, in posa da pornostar.
“Sarebbe stato meglio un processo penale – spiega la madre di una delle ragazzine responsabili della diffusione di quelle immagini – perché i ragazzi avrebbero preso coscienza di quel che hanno fatto, magari con una condanna e una pena di messa alla prova nella quale insieme, noi e loro, avremmo potuto fare un percorso di consapevolezza. Crescere insieme, capire dove si è sbagliato”.
Non vuole nascondersi la madre in questione, non vuole sottrarsi alle sue colpe: “Io mi sono messa in discussione, ho cercato di capire dove ho sbagliato come genitore – racconta – ma all’epoca dei fatti non sapevo neanche cosa fosse il ‘sexing’ e non avevo idea cosa gli adolescenti potessero fare con il telefono. Né è possibile controllare i telefoni ventiquattro ore al giorno”.
Scuote la testa, continua a non capire, con quelle parole del giudice Daniele Sodani che le rimbombano nello stomaco: “Carenza educativa, dice il giudice. Forse è così, ma di queste cose si è cominciato a parlare da poco nelle scuole. Cinque anni fa, quando accaddero i fatti si sapeva a mala pena cosa era una chat. Non voglio criticare la sentenza – continua la donna – ma la condanna civile, scaricata sui genitori, anziché il processo penale (dal quale i ragazzi sono stati prosciolti, ndr) serve solo a monetizzare un valore etico. Non è educativo. Ripeto sarebbe stato meglio una condanna penale per loro”.
Anche perché, sostiene la madre, “questa storia non è stata superata: il risultato è che ora dieci ragazzi odiano quella ragazza che li ha denunciati e la gravità dei fatti non è stata metabolizzata, né compresa dai nostri figli”.
Ricorda, come fosse ieri, il giorno in cui a casa le si è presentata l’assistente sociale: “Siamo una famiglia per bene – continua – trovarsi sotto la verifica del proprio stile di vita è stato umiliante”.
E conta i risparmi che ora dovrà usare per risarcire quella ragazzina: “Sacrifici e soldi messi da parte per far studiare mia figlia”.
Chi non ci pensa proprio ad accettare la condanna è invece l’avvocato Teresa Nannarone, difensore di un’altra imputata: “La sentenza di per sé riduce di molto le aspettative della presunta parte offesa che dai 650mila euro richiesti ne otterrà una decima parte – spiega l’avvocato – ad ogni modo ritengo che la mia cliente non abbia arrecato alcun danno a quella ragazza, perché si è limitata a inviare una foto che la stessa presunta vittima aveva scattato, spinta, come ha riconosciuto il giudice, da un non elevato senso del pudore. Ricorreremo in appello, anche per i soli 2mila euro che deve la mia cliente, perché è anche una questione di principio”.

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