Lo stato d’emergenza è una fattispecie giuridica ben precisa, differente dallo stato di calamità, che è connesso solo alle attività agricole. E’ una procedura definita in maniera rigida dalla legge che regola la Protezione Civile. Viene dichiarata per “calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”.
In concreto cosa significa? Che il Consiglio dei Ministri, anche su proposta di una Regione, dichiara che in un territorio vanno fatte alcune cose, che altrimenti non potrebbero essere fatte efficacemente per salvaguardare l’incolumità pubblica.
Quali sono le “cose” che si fanno con lo “Stato di Emergenza”? La legge le elenca puntualmente. Senza possibilità di deroga: si provvede all’organizzazione ed all’effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall’evento; al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili; alla realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo strettamente connesso all’evento, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e comunque finalizzate prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità; alla ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e dal patrimonio edilizio, da porre in essere sulla base di procedure definite con la medesima o altra ordinanza; all’avvio dell’attuazione delle prime misure per far fronte alle attività di ripristino, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e secondo le direttive dettate con delibera del Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata.
La Regione, come anche i comuni, vengono infatti completamente esautorati, quando viene dichiarato lo stato d’emergenza. Infatti l’idea che sta alla base di questo fondamento è che i fatti accaduti siano talmente gravi che siano di rilevanza nazionale. Quindi è lo Stato centrale che prende le redini della situazione. Ma in quale modo? Anche su questo la legge è chiara: con le ordinanze, atti unilaterali adottati dal soggetto che gestisce l’emergenza “anche in deroga alla legge”, ma rispettando alcuni criteri, non criteri di legge ma stabilite dal Governo stesso nel momento dell’emanazione del decreto.
Nello stesso decreto il Governo dice anche chi comanda, chi è il “capo supremo” che, per 180 giorni (prorogabili fino a 360) decide con la propria firma vita, morte e miracoli, dell’area interessata, in relazione ai fatti accaduti e alle azione da intraprendere per reagire. Normalmente è il Capo della Protezione civile, ma il Governo può anche decidere diversamente. Cosa che infatti fa quasi sempre. Il Capo della Protezione civile è uno e non può fare tutto. La soluzione normalmente adottata è che l’amministrazione scelta per gestire l’emergenza è il Dipartimento Centrale di Protezione Civile. Il Capo del Dipartimento poi, nomina il Commissario. Talvolta però si è scelta anche una amministrazione differente. Ovviamente le scelte dipendono molto dalla tipologia degli eventi calamitosi. Ma come ci si è regolati in passato per gli incendi? Semplice, da quando esiste lo “Stato d’Emergenza” per come lo conosciamo oggi, non c’è mai stata una dichiarazione per fronteggiare gli incendi, nonostante le richieste in tal senso non siano mancate. Solo nel 2017 lo hanno richiesto, per questo tipo di accadimenti: la Calabria, la Sicilia, l’Umbria, il Lazio, la Campania, la Basilicata (per tutto il territorio regionale). La Toscana, più furba, si è “inventata” grazie alla legislazione concorrente, la possibiltà di dichiarare uno “Stato d’Emergenza Regionale”, che il Presidente Rossi ha puntualmente concesso alla sua regione, senza però far mancare la richiesta per lo Stato d’emergenza nazionale. In tutti questi casi il Governo non ha mai dato risposta positiva.
Perchè? Forse gli incendi non sono una emergenza? Certo che lo sono. Tuttavia le tipologie di intervento che lo “Stato d’emergenza” -chiamiamolo “tecnico”- prevede, non si attagliano esattamente a questo tipo di disastri. Gli incendi boschivi infatti normalmente non generano l’esigenza di soccorrere una grande quantità di popolazione (talmente grande che non bastano strumenti ordinari) poiché i boschi sorgono in zone scarsamente antropizzate e per lo stesso motivo gli incendi boschivi difficilmente interrompono la “funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche” perché, normalmente, non attraversano boschi. Stesso discorso vale per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate. La questione si pone, invece, per i danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e dal patrimonio edilizio. Certamente è possibile che in un bosco vi siano attività private o altre infrastutture pubbliche. Ma certamente sono poche e non necessitano di un intervento straordinario. Quello che veramente è danneggiato è il “bene culturale” bosco. Su cui, con lo stato d’emergenza, si può intervenire -teoricamente- per il ripristino. Ma su questo punto c’è una contraddizione con un’altra legge: la 353 del 2000. Che dice che non si deve fare rimboschimento per almeno 5 anni e altri tipi di intervento per tempi più lunghi. E’ chiaro che il commissario delegato per l’emergenza, potendo provvedere a compiere la sua missione con ordinanze “anche in deroga” potrebbe, anzi forse è più corretto dire “sarebbe tenuto”, a provvedere al rimboschimento, in deroga non solo alla legge 353/2000 ma anche al Codice Appalti. Infatti dovrebbe provvedere entro 180 giorni, termine che può essere allungato al massimo a 360. E’ chiaro quindi che se il Governo concedesse lo stato d’emergenza per ogni incendio di dimensioni abbastanza vaste, di fatto annullerebbe l’effetto deterrente che la 353/2000 ha nei confronti delle azioni dolose che puntano ad ottenere vantaggi economici diretti dalle attività di “disaster recovering” e a quelle immediatamente successive. Con questo non è detto che non si possa intervenire “in emergenza”, per esempio per contrastare il rischio valanghe. Ma fin ora, il Governo, ha sempre deciso che tali interventi potevano essere eseguiti ai sensi della legge e senza la necessità di atti o poteri straordinari, comunque modulabili.
bene,tutto vero,si dimentica che l’inadempiente,soprattutto in violazione delle disposizioni di Legge e’ la regione,presidente,assessori(minuscola di rigore)ecc, che illegalmente fanno cio’ che meglio credono,iniziando dai bilanci,bocciati dalle Autorita’ di controllo….l’emergenza sono i delegati,capacita’,preparazione,competenze,ecc,vicine allo zero assoluto,il tutto con gravi violazioni di Legge,dunque? La Costituzione Italiana prevede lo scioglimento,altro che stato di emergenza,dobbiamo solo esigere il rispetto delle Leggi,comprese quelle richiamate, dal sig. Gentiloni,Presidente C.d.M.,specifiche disposizioni sicurezza previsione,prevenzionee lotta attiva contro gli incendi,ignorate…come quella sul rischio valanche,alluvioni ecc,ecc non poteri straordinari,semplicemente attenersi alle regole, Legalita’….o no?